Tag: fiscalità internazionale

  • Soggetti fiscalmente residenti in Italia con partita IVA estera

    Soggetti fiscalmente residenti in Italia con partita IVA estera

    Cosa accade quando soggetti persone fisiche fiscalmente residenti in Italia operano nel nostro paese attraverso una partita IVA estera?

    Immaginiamo il caso di una persona fisica residente in Italia ai sensi dell’art. 2 co. 2 del TUIR e, eventualmente, anche in base alle “tie-breaker rules” delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, che, senza il preventivo consulto con un professionista, decida di aprire una partita IVA in una differente giurisdizione, ad esempio la Romania o la Bulgaria, note per le aliquote particolarmente basse.

    L’intento può essere quello di operare in detto altro paese, con clienti e fornitori locali, ma anche quello di voler beneficiare di una tassazione più favorevole.

    Cosa accade quando tale soggetto, che ricordiamo essere fiscalmente residente in Italia, decide di fatturare con la partita IVA estera ai propri clienti italiani sostituti di imposta? Ad esempio ai medesimi clienti italiani con i quali fatturava in precedenza con la partita IVA italiana. A maggior ragione, nel caso in cui presti la propria attività presso i locali di detti clienti italiani.

    Allo stesso modo, e questo è un caso frequente, si può immaginare un soggetto trasferitosi in Italia dall’estero, acquisendo la residenza fiscale nel nostro paese. Supponiamo che questa persona continui ad operare in Italia con la partita IVA che aveva precedentemente nello stato estero pensando di continuare ad essere ivi tassato.

    Si omettono, in questo caso, le implicazioni relative ai regimi agevolati per i trasferimenti in Italia, per i quali si rimanda ad un apposito articolo.

    Esame del caso

    Un soggetto nella situazione descritta potrebbe tentare di invocare l’applicazione della Convenzione contro le Doppie Imposizioni tra l’Italia e il Paese estero presso cui ha aperto una partita IVA, con l’obiettivo di evitare la tassazione italiana. Tuttavia, tale ipotesi è da escludersi categoricamente.

    Anzitutto, per avvalersi della Convenzione, sarebbe necessario presentare un certificato di residenza fiscale rilasciato dall’Autorità estera competente. Tuttavia, se il soggetto mantiene la residenza fiscale in Italia, tale documento avrebbe esclusivamente la funzione di attestare le imposte versate all’estero, che possono essere detratte dall’imposta italiana secondo l’art. 165 del TUIR. Non è quindi possibile applicare la Convenzione, poiché i redditi derivano da attività di lavoro tra due soggetti fiscalmente residenti in Italia.

    Inoltre, anche qualora il soggetto riuscisse a dimostrare la sua qualifica di non residente ai fini fiscali italiani, la modalità effettiva di esercizio dell’attività in Italia potrebbe determinare la configurazione di una base fissa.

    Base fissa

    Per una trattazione approfondita della nozione di base fissa si rimanda allo specifico articolo. È comunque utile ricordare che, secondo il Commentario all’art. 5 del modello OCSE, l’elemento rilevante per individuare una stabile organizzazione è la disponibilità materiale di una sede fissa di affari, indipendentemente dal titolo giuridico con cui il contribuente ne ha l’uso (proprietà, locazione o altro).

    Nel caso del lavoro autonomo, rientra nella nozione di base fissa uno studio professionale stabilito in un altro Stato da un professionista. Tuttavia, esistono situazioni più sfumate, come il caso in cui il medesimo professionista svolga la propria attività presso la sede del cliente. In tali circostanze, il Commentario precisa che la qualificazione di base fissa dipende dalla possibilità di utilizzare i locali in modo stabile e continuativo.

    Al contrario, brevi visite presso il cliente per monitorare l’attività o definire i termini del contratto non costituiscono una base fissa.

    Diverso è invece il caso in cui il cliente metta a disposizione del professionista uno spazio dedicato per l’esecuzione continuativa dell’attività. Tale circostanza potrebbe essere quella che si realizza nel caso oggetto di analisi ma è  opportuno verificare, volta per volta, le condizioni contrattuali tra le parti.

    Il paragrafo 5 del Commentario all’art. 5 chiarisce che la qualifica di stabile organizzazione ai fini delle imposte sui redditi è indipendente dall’eventuale apertura di una partita IVA nel Paese estero e si configura qualora il contribuente disponga di una sede fissa presso il committente.

    Trattamento fiscale ai fini delle imposte dirette

    Se l’attività svolta in Italia da soggetti persone fisiche fiscalmente residenti che operano nel nostro paese attraverso una partita IVA estera è qualificabile come lavoro autonomo, il committente italiano assume il ruolo di sostituto d’imposta, applicando una ritenuta sul compenso sia nei confronti di soggetti residenti che non residenti. In particolare, come già approfondito in un precedente contenuto:

    • se il professionista estero ha una base fissa in Italia, il compenso è soggetto a una ritenuta d’acconto del 20%, ai sensi dell’art. 25 co. 1 del DPR 600/73, in quanto assimilato ai soggetti residenti;
    • Se il professionista estero non ha una base fissa, ma la prestazione è eseguita in Italia, si applica una ritenuta a titolo d’imposta del 30% ai sensi dell’art. 25 co. 2 del DPR 600/73, salvo diverse disposizioni previste dalle Convenzioni internazionali;

    Trattamento IVA

    Anche sotto il profilo dell’IVA, la situazione presenta delle particolarità.

    Qualora il professionista non abbia una partita IVA italiana, come nel nostro caso, la sua presenza fisica continuativa e il coinvolgimento personale nell’attività potrebbero configurare una stabile organizzazione ai fini IVA (che presenta caratteristiche parzialmente differenti rispetto alla base fissa ai fini delle imposte dirette).

    Ai fini delle prestazioni territorialmente rilevanti in Italia, il soggetto dovrebbe aprire una partita IVA italiana. In tal caso, la base fissa, se partecipa all’operazione secondo quanto previsto dall’art. 53 del Regolamento UE n. 282/2011, è il soggetto passivo d’imposta. Pertanto, il committente dovrebbe ricevere una fattura con IVA italiana, anziché una fattura emessa da un soggetto estero senza applicazione dell’imposta, da integrare con l’IVA nazionale.

  • Tassazione in Italia dei cittadini americani

    Tassazione in Italia dei cittadini americani

    Una tematica foriera di complicazioni e che richiede un’analisi approfondita è quella relativa alla tassazione in Italia dei cittadini americani.

    È frequente il caso di cittadini statunitensi o di soggetti in possesso di una Green Card, residenti in Italia ai fini fiscali.  Il caso può essere, quindi, anche quello di un cittadino italiano che per anni ha risieduto negli USA in possesso di una Green Card che fa ritorno in Italia ma che non vuole rinunciare alla Green Card statunitense nell’ottica di un futuro rientro in America, onde non dover di nuovo fare application per il permesso di soggiorno.

    Può accadere che questi soggetti, una volta traferitisi in Italia, continuino a percepire redditi di fonte americana e, di conseguenza, si trovino a dover presentare annualmente due dichiarazioni dei redditi, una in Italia ed una negli USA.

    Gli Stati Uniti, infatti, prevedono la tassazione su base mondiale non solo dei propri residenti, ma anche dei propri cittadini, anche se residenti all’estero.
    Salvo il caso in cui si rinunci alla cittadinanza americana, si tratta di casistiche da gestire con particolare attenzione per quanto concerne le dichiarazioni dei redditi.

    Come prima cosa analizziamo il tema della residenza fiscale, che determina il paese in cui un individuo è assoggettato a tassazione su base worldwide.

    Residenza fiscale in Italia

    Per maggiori approfondimenti si rimanda allo specifico contenuto, in questo articolo ci si limita a ricordare che la normativa italiana (art. 2 del TUIR) tratta i residenti fiscali e i non residenti fiscali in modo diverso. I primi sono tassati sul reddito mondiale, mentre i secondi sono tassati solo sul reddito di fonte italiana.

    Una persona fisica è considerata fiscalmente residente nel nostro Paese se, per la maggior parte dell’anno fiscale, quindi per almeno 183 giorni, soddisfa almeno uno dei seguenti criteri:

    • Iscrizione all’Anagrafe della Popolazione Residente.
    • Residenza: Dimora abituale in Italia.
    • Domicilio: Luogo in cui si sviluppano le principali relazioni personali e familiari.
    • Presenza fisica, contando anche le frazioni di giorno.

    Residenza fiscale negli USA

    A differenza di quanto fatto per l’Italia, per la quale, come detto, si rimanda ad uno specifico contenuto, per quanto riguarda gli Stati Uniti si approfondisce nel dettaglio il concetto, piuttosto complesso, di residenza fiscale.

    Criterio generale

    Negli Stati Uniti, il criterio base per la residenza fiscale è la cittadinanza. Tuttavia, ai sensi del § 7701(b)(1)(A) dell’Internal Revenue Code (IRC) del 1986, un soggetto può essere considerato resident alien se:

    1. Possiede una green card (permanent resident card) anche per un solo giorno nell’anno fiscale.
    2. Supera il substantial presence test (§ 7701(b)(3)).
    3. Chiede di essere trattato come residente tramite la “first year election” (§ 7701(b)(4)), in presenza di specifici requisiti.

    Un soggetto è nonresident alien (§ 7701(b)(1)(B)) se non è cittadino statunitense e non soddisfa nessuno dei criteri sopra elencati.

    Substantial presence test

    Un individuo è considerato fiscalmente residente negli USA se:

    • È stato fisicamente presente negli Stati Uniti per almeno 31 giorni nell’anno fiscale corrente.
    • La somma dei giorni di presenza negli ultimi 3 anni è almeno 183, calcolati come segue:
      • 100% dei giorni dell’anno in corso.
      • 1/3 dei giorni dell’anno precedente.
      • 1/6 dei giorni del secondo anno precedente.

    Esempio:
    Se un soggetto è stato presente negli USA per 120 giorni all’anno nel 2022, 2023 e 2024, il calcolo per il 2024 sarà:
    120 (2024) + 40 (1/3 di 120 nel 2023) + 20 (1/6 di 120 nel 2022) = 180 giorni → non residente fiscale.

    Eccezioni al substantial presence test (§ 7701(b)(3)(B)):
    Anche se il test è soddisfatto, il soggetto è considerato non residente se:

    1. È stato presente negli USA meno di 183 giorni nell’anno corrente.
    2. La sua tax home (luogo in cui il soggetto ha il suo luogo principale di lavoro, indipendentemente dal luogo in cui abita la famiglia) è in un Paese estero.
    3. Ha un legame più stretto con un altro Stato rispetto agli USA.

    First year election (§ 7701(b)(4))

    Uno straniero può optare per la residenza fiscale nell’anno precedente a quello in cui acquisisce lo status di residente se:

    • Non era residente nell’election year (né per green card né per il substantial presence test).
    • Non era residente nell’anno prima dell’election year.
    • È stato presente negli USA per 31 giorni consecutivi e per almeno il 75% del tempo tra il giorno di arrivo e la fine dell’anno.

    Primo anno di residenza fiscale

    Nel primo anno di residenza fiscale negli USA, un individuo può avere doppio status: nonresident alien e resident alien.

    • Regola generale (§ 7701(b)(1)(A)): se un soggetto diventa residente in un dato anno, ma non lo era nell’anno precedente, è considerato residente solo dalla data di inizio della residenza.
    • Residenza con green card (§ 7701(b)(2)(A)): se un soggetto ottiene la green card, ma non soddisfa il substantial presence test, è residente dal primo giorno in cui è stato presente negli USA come permanent resident.
    • Residenza per substantial presence test: se la residenza deriva dal substantial presence test, il soggetto è residente dal primo giorno in cui è presente negli USA.
      • Eccezione: Se un individuo è presente negli USA per meno di 10 giorni, questi possono essere ignorati se ha mantenuto un legame più stretto con un altro Paese.
      • Esempio:
        • Tizio arriva negli USA il 3 febbraio per una conferenza e riparte il 10 febbraio.
        • Ritorna negli USA il 10 marzo per rimanervi stabilmente.
        • La residenza inizia il 10 marzo, poiché tra il 3 e il 10 febbraio aveva ancora un legame più stretto con l’Italia.

    Ultimo anno di residenza fiscale

    Un individuo cessa di essere residente negli USA se:

    1. Lascia gli Stati Uniti e non vi ritorna nel resto dell’anno.
    2. Durante la restante parte dell’anno ha un legame più stretto con un Paese straniero.
    3. Non è più residente nell’anno successivo.

    Regole di fine residenza (Publication 519 – “U.S. Tax Guide for Aliens“):

    • Se la residenza fiscale derivava dal substantial presence test, termina nell’ultimo giorno di presenza fisica negli USA.
    • Se la residenza derivava dalla green card, termina il primo giorno in cui il soggetto non è più permanent resident.
    • In entrambi i casi, la cessazione della residenza è valida solo se il soggetto ha un legame più stretto con un altro Paese.

    La dichiarazione dei redditi di fonte USA dei cittadini americani residenti in Italia

    La casistica più complessa riguarda la tassazione dei cittadini americani che si trasferiscono in Italia, acquisendo la residenza fiscale ai sensi dell’art. 2 del TUIR e dell’art. 4 della Convenzione Italia-USA, e che percepiscono redditi di fonte statunitense.

    Per questa situazione, occorre fare riferimento all’art. 23 della Convenzione tra i due Paesi.

    Nel caso di cittadini americani residenti in Italia con redditi di fonte statunitense, l’eliminazione o la riduzione della doppia tassazione non avviene secondo la regola generale dell’art. 23, paragrafo 3, della Convenzione.

    Tale norma, infatti, prevede che l’Italia possa includere i redditi di fonte statunitense nel calcolo del reddito complessivo del contribuente, riconoscendo poi un credito d’imposta per le imposte già versate negli Stati Uniti.

    Tuttavia, questa prescrizione non si applica ai cittadini statunitensi residenti in Italia, poiché lo stesso paragrafo 3 esclude espressamente i casi di soggetti che possiedono anche la cittadinanza americana (par. 2(b) dell’art. 1).

    Articolo 1
    1. (…).
    2. Nonostante le disposizioni della presente Convenzione, ad eccezione del paragrafo 3 di questo articolo, uno Stato contraente può assoggettare ad imposizione:
    (a) i propri residenti (definiti ai sensi dell’articolo 4 (Residenti);
    e
    (b) i propri cittadini a motivo della cittadinanza, come se tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Stati Uniti d’America non esistesse alcuna Convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi o le evasioni fiscali.

    Per tali contribuenti, la Convenzione prevede invece l’applicazione dell’art. 23, paragrafo 4, che introduce un meccanismo di eliminazione della doppia imposizione articolato in due fasi:

    • Prima fase: Per i redditi di fonte USA esenti o tassati in modo ridotto negli Stati Uniti, se percepiti da un residente italiano con cittadinanza statunitense, l’Italia concede un credito d’imposta ai sensi dell’art. 165 del TUIR nei limiti della tassazione convenzionale (art. 23, paragrafo 4, lettera a).
    • Seconda fase: Dopo l’applicazione del credito d’imposta italiano iniziale, gli Stati Uniti riconoscono un ulteriore credito per le imposte effettivamente versate in Italia, al netto della detrazione già operata dall’Italia. Questo meccanismo estremamente complesso, previsto dall’art. 23, paragrafo 4, lettera b), si basa su una finzione giuridica di “resourcing”, per cui i redditi di fonte statunitense tassati in Italia vengono considerati, nella dichiarazione fiscale statunitense, come redditi di origine italiana, esclusivamente per la determinazione del credito d’imposta concesso dagli USA.

    Il caso specifico dei dividendi di fonte USA: credito italiano per le imposte pagate all’estero

    Per i dividendi provenienti dagli Stati Uniti e percepiti da persone fisiche residenti in Italia, si applica l’art. 27, comma 4, del DPR 600/73, che prevede una ritenuta a titolo d’imposta del 26% sull’intero ammontare.

    Qualora il dividendo venga riscosso tramite un intermediario residente, si applica il comma 4-bis dell’art. 27 del DPR 600/73, che prevede il principio, noto come “netto frontiera” e che dispone che la base imponibile per la ritenuta italiana sia determinata sottraendo le imposte estere già applicate.

    In pratica, se il dividendo percepito è di 100.000, gli USA possono applicare una ritenuta massima del 15%, mentre la ritenuta italiana del 26% si calcola sull’importo al netto della trattenuta statunitense (100.000 – 15.000 = 85.000).

    Per quanto riguarda la possibilità di detrarre la ritenuta estera dalle imposte italiane, il credito d’imposta ex art. 165 del TUIR non è riconosciuto per i dividendi soggetti al regime ordinario, in quanto tali redditi rientrano tra quelli assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta ex art. 27, comma 4, DPR 600/73.

    Nel caso di percezione diretta del dividendo senza l’intermediazione di una banca residente, l’imposta sostitutiva del 26% deve essere versata in sede di dichiarazione dei redditi, nel quadro RM.

    L’Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 80/2007 e la risposta all’interpello n. 111/2020, ha stabilito che in tale circostanza la base imponibile dell’imposta sostitutiva sia il dividendo lordo (riprendendo l’esempio precedente, 100.000 e non 85.000).

    Anche in questo scenario, non è possibile beneficiare del credito d’imposta per le imposte estere, poiché il dividendo non viene incluso nel reddito complessivo in Italia.

    Tuttavia, le recenti sentenze della Corte di Cassazione n. 25698/2022 e n. 10204/2024 e la sentenza della C.G.T. I Siena n. 68/1/24, hanno aperto alla possibilità di detrarre l’imposta estera dall’imposta sostitutiva sui dividendi da dichiarare nel quadro RM. La Cassazione ha motivato tale possibilità con il tenore dell’art. 23 della Convenzione Italia-USA, che prevede il credito d’imposta solo nei casi in cui l’imposizione sostitutiva sia opzionale, riconoscendolo invece laddove l’imposizione sostitutiva sia obbligatoria, come nel contesto attuale. Pertanto, i contribuenti che non hanno detratto l’imposta estera possono richiedere il rimborso dell’eccedenza d’imposta pagata in Italia.

    Tuttavia, è probabile che l’Amministrazione finanziaria respinga tale richiesta, rendendo necessario un contenzioso tributario.

    Le somme rimborsabili ai sensi dell’art. 38 del DPR 602/73 corrispondono alla differenza tra l’imposta italiana pagata e quella che si sarebbe dovuta pagare con la detrazione della ritenuta estera. Ad esempio:

    • nel rigo RM12 della dichiarazione del percettore persona fisica non imprenditore deve essere indicata l’imposta sostitutiva del 26% calcolata sul dividendo lordo;
    • si potrebbe quindi avanzare richiesta di rimborso per l’imposta italiana pagata in eccesso, derivante dal mancato scomputo della ritenuta statunitense.

    Il caso specifico delle pensioni private di fonte USA

    Secondo l’art. 18 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Stati Uniti, che disciplina le pensioni private, il principio di imposizione è basato sullo Stato di residenza del percettore.

    Sia le pensioni derivanti da un’attività lavorativa cessata (art. 18, par. 1) sia le pensioni corrisposte da uno Stato nell’ambito della propria legislazione sulla sicurezza sociale (art. 18, par. 2) sono tassate esclusivamente nello Stato di residenza. Di conseguenza, una persona trasferitasi in Italia dopo aver lavorato negli USA sarà soggetta esclusivamente all’imposizione italiana sulla pensione americana, mentre gli Stati Uniti non potranno prelevare imposte su tale reddito e dovrà essere cura del percettore far presente la propria residenza fiscale italiana al soggetto che eroga la pensione.

    In tali circostanze, il pensionato potrebbe anche beneficiare dell’imposta sostitutiva del 7% prevista dall’art. 24-ter del TUIR per la quale si rimanda allo specifico approfondimento.

    Rientrano in questa disciplina le pensioni correlate a un precedente impiego, indipendentemente dalla forma di pagamento (periodica o in un’unica soluzione), includendo anche piani pensionistici integrativi come gli individual retirement accounts (IRA).

    Le pensioni di sicurezza sociale sono tassabili esclusivamente in Italia se l beneficiario è ivi residente, in deroga alla regola generale delle convenzioni generalmente stipulate dagli USA. Secondo la Technical Explanation, questa disposizione si applica sia a lavoratori privati che a ex dipendenti pubblici.

    Tuttavia, la situazione cambia qualora il oggetto residente fiscale in Italia abbia la cittadinanza statunitense o, come prospettato nella parte introduttiva, abbia mantenuto la Green Card.

    Dal momento che gli Stati Uniti tassano i propri cittadini ovunque essi risiedano, per evitare la doppia imposizione, si applica il meccanismo, anteriormente menzionato, previsto dall’art. 23, par. 4, della Convenzione:

    • In base alla lettera a), la pensione è tassata in Italia, che riconosce un credito d’imposta per le imposte USA nella misura “convenzionale”. Tuttavia, poiché l’art. 18 esenta tali redditi negli USA per i non cittadini, l’Italia non può concedere alcun credito.
    • In base alla lettera b), nella dichiarazione finale statunitense, il contribuente può detrarre le imposte italiane pagate sulla pensione.

    Il possesso di una doppia cittadinanza risulta un fattore determinante per la corretta applicazione delle norme fiscali alle pensioni USA percepite in Italia per quanto concerne le pensioni di sicurezza sociale. Nell’art. 1 § 2 lettera a) del Protocollo alla Convenzione Italia-Stati Uniti, infatti, viene prevista la tassazione esclusiva in Italia di tali pensioni (che in questo caso non andranno dichiarate negli Stati Uniti) se il percettore, residente fiscale in Italia e cittadino statunitense, ha anche la cittadinanza italiana.

    Infine, derogando al principio generale per cui gli Stati Uniti si riservano di assoggettare a imposizione i redditi dei propri cittadini, anche qualora residenti all’estero, vi sono talune eccezioni che riguardano proprio le pensioni. Nello specifico, l’art. 1 § 3 lettera a) della Convenzione, al ricorrere delle condizioni previste dal § 5, esclude dall’imposizione statunitense le pensioni disciplinate dai §§ 5 e 6 dell’art. 18, gli assegni alimentari per il coniuge o per il mantenimento dei figli.

    Monitoraggio fiscale di attività patrimoniali e finanziarie estere

    Da ultimo, non va dimenticato che i cittadini statunitensi che trasferiscono la propria residenza in Italia sono soggetti anche alle norme sul monitoraggio fiscale delle attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero, tra i quali figurano, i conti correnti, gli investimenti finanziari, le varie tipologie di fondi previdenziali, le partecipazioni societarie e i  beni immobili.

    La mancata inclusione dei beni detenuti all’etero nel quadro RW può comportare, nel caso specifico, sanzioni dal 3% al 15% del valore dell’attività non dichiarata per ciascun anno.

  • Ritenuta sui dividendi distribuiti a società extra-UE: rimborso

    Ritenuta sui dividendi distribuiti a società extra-UE: rimborso

    Il contenuto esamina schematicamente la sentenza n. 509/2024 – CGT di Pescara in merito alla ritenuta sui dividendi di fonte italiana pagati ad una società statunitense.

    1. Contesto e Principio Violato

    • Decisione: La CGT di Pescara ha riconosciuto il rimborso alla società americana della differenza tra l’aliquota sulla ritenuta sui dividendi convenzionale (5%) e quella più favorevole applicata a società UE (1,2%).
    • Motivazione: Violazione del principio di libera circolazione dei capitali (art. 63 TFUE).

    2. Il Caso

    • Società coinvolta: Società americana con partecipazione in una società italiana.
    • Fatti:
      • Nel 2018 ha percepito dividendi con ritenuta del 5% (art. 10, co. 2, lett. a, Convenzione ITA-USA).
      • Ha contestato la mancata applicazione dell’aliquota ridotta dell’1,2% (art. 27, co. 3-ter, DPR 600/1973).
    • Argomentazione della società americana:
      • Disparità di trattamento tra società extra-UE e UE/SEE.
      • Violazione dell’art. 63 TFUE sulla libera circolazione dei capitali.
    • Replica dell’Agenzia delle Entrate:
      • Soggetti residenti e non residenti non sono equiparabili.
      • La società ricorrente non era beneficiario effettivo dei dividendi.

    3. Decisione della CGT

    • Accoglimento del ricorso: Diritto al rimborso della maggiore ritenuta sui dividendi subita.
    • Precedente richiamato: Cass. n. 21481/2022 su fondi d’investimento extra-UE.
    • Principio confermato: Applicabilità dell’aliquota ridotta (1,2%) anche a soggetti residenti in paesi terzi, in base all’art. 63 TFUE.

    4. Orientamento della Corte di Giustizia UE

    • Restrizioni ai movimenti di capitali vietate se dissuadono investimenti transfrontalieri.
    • Eccezioni ex art. 65 TFUE ammesse solo se non discriminatorie o restrittive in modo occulto.
    • Conclusione: La discriminazione verso la società americana viola il principio di non discriminazione e la libera circolazione dei capitali.

    5. Beneficiario Effettivo e Implicazioni Future

    • La CGT ha riconosciuto che la società americana era beneficiario effettivo dei dividendi.
    • La sentenza segue altre pronunce della CGUE sull’interpretazione conforme ai principi UE.
    • Possibili sviluppi: Nuove pronunce potrebbero estendere il rimborso ad altre società extra-UE (es. USA, UK) per dividendi distribuiti negli ultimi anni.
  • Cessione di partecipazioni e trasferimento di residenza

    Cessione di partecipazioni e trasferimento di residenza

    Nell’ambito delle Convenzioni Contro le Doppie Imposizioni (CDI), il trattamento fiscale delle plusvalenze da cessione di partecipazioni è regolato dall’articolo 13 del modello OCSE. Questo articolo stabilisce criteri di territorialità specifici, differenziando le modalità di imposizione a seconda della natura dei beni coinvolti.

    Regole generali

    In particolare, il principio di tassazione varia in base alla tipologia di asset oggetto della plusvalenza. Tra le principali categorie disciplinate rientrano:

    • Beni immobili, per i quali il diritto di tassazione spetta generalmente allo Stato in cui il bene è situato;
    • Beni mobili appartenenti a una stabile organizzazione, tassati nello Stato in cui la stabile organizzazione è localizzata;
    • Navi e aeromobili utilizzati nel traffico internazionale, che seguono regole particolari in base alla giurisdizione dell’impresa che li gestisce;
    • Altri beni, per i quali l’imposizione dipende dalle disposizioni specifiche previste dalle singole convenzioni.

    Queste distinzioni riflettono la volontà di bilanciare gli interessi fiscali degli Stati coinvolti, evitando fenomeni di doppia imposizione o doppia non imposizione.

    Per quanto riguarda la cessione di partecipazioni, la regola generale prevede la tassazione esclusiva della plusvalenza nello stato di residenza del cedente.

    Cessione di partecipazioni con contestuale trasferimento di residenza

    Tuttavia, alcune Convenzioni includono clausole che consentono l’imposizione anche nello Stato nel quale ha la residenza la società ceduta, a condizione che il cedente, residente nell’altro Stato, sia stato residente dello stesso Stato della società ceduta in un periodo immediatamente anteriore al trasferimento delle azioni o quote, generalmente fissato in 5 anni.

    Queste clausole sono state introdotte per impedire che un individuo, dopo aver trasferito la propria residenza fiscale in un altro Stato—spesso con una tassazione più favorevole—venda immediatamente le proprie partecipazioni in una società situata nel Paese di origine, ottenendo così una plusvalenza che sarebbe tassata esclusivamente nel nuovo Stato di residenza. Al contrario, la loro applicazione consente ai due Stati di esercitare un potere impositivo concorrente, con l’obiettivo di disincentivare trasferimenti di residenza temporanei o meramente strumentali.

    Un esempio piuttosto attuale, in ragione del possibile trasferimento di molti ex-non-dom dal Regno Unito all’Italia, è proprio la convenzione tra questi due paesi, che include una clausola che consente di assoggettare a imposta la plusvalenza, se il cedente è stato residente nel paese della fonte nei 5 anni precedenti l’alienazione e la plusvalenza non è soggetta ad imposta dello stato della residenza del cedente.

    Articolo 13

    Utili di capitale

    1. (…)
    2. (…)
    3. (…)
    4. Gli utili derivanti dalla alienazione di ogni altro bene diverso da quelli menzionati nei paragrafi precedenti del presente articolo sono imponibili soltanto nello Stato contraente di cui l’alienante è residente.
    5. Le disposizioni del paragrafo 4 del presente articolo non pregiudicano il diritto di uno Stato contraente di prelevare, conformemente alla propria legislazione, una imposta sugli utili, derivanti dalla alienazione di un qualsiasi bene, realizzati da una persona fisica che:
    6. è residente dell’altro Stato contraente; e
    7. è stata residente del predetto primo Stato contraente in un qualsiasi momento nel corso dei cinque anni immediatamente precedenti l’alienazione del bene; e
    8. non è soggetta ad imposta per tali utili nell’altro Stato contraente.

    Simili clausole riconoscono quindi all’ex Stato di residenza la facoltà di tassare determinati redditi secondo la propria normativa interna. Tuttavia, questo potere non è assoluto, ma incontra dei limiti. In particolare, esso viene meno quando la normativa interna esclude la tassazione dei non residenti, come avviene nella maggior parte dei casi per le partecipazioni non qualificate.

    Diversamente, la tassazione può essere applicata quando la normativa interna non prevede specifiche esenzioni per i non residenti. Questo è il caso delle partecipazioni qualificate, per le quali il potere impositivo dello Stato di origine è generalmente riconosciuto.

    Regime dei neo domiciliati

    Un’impostazione analoga è stata adottata dal legislatore nazionale nell’articolo 24-bis del TUIR, che disciplina il regime dei neo domiciliati. In particolare, il comma 1 esclude dall’imposta forfettaria di 200.000 euro le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate nei primi cinque anni di applicazione del regime. Di conseguenza, tali plusvalenze restano soggette alla normale tassazione prevista dalla normativa vigente.

  • Dividendi da paradisi fiscali percepiti da persone fisiche: come vengono tassati in Italia?

    Dividendi da paradisi fiscali percepiti da persone fisiche: come vengono tassati in Italia?

    L’articolo chiarisce il regime fiscale applicabile ai dividendi percepiti da persone fisiche non imprenditori residenti in Italia, provenienti da società localizzate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, con riferimento agli articoli 47 e 89 del TUIR, al DPR 600/73 e ad altri rilevanti provvedimenti.

    Come sono tassati i dividendi da società estere residenti in paesi a fiscalità privilegiata?

    Ai sensi dell’art. 47, comma 4, e dell’art. 89, comma 3, del TUIR, i dividendi percepiti da persone fisiche residenti in Italia, provenienti da società situate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, sono integralmente imponibili ai fini IRPEF, a prescindere dalla natura della partecipazione (qualificata o non qualificata).

    Quando si considera che i dividendi provengano da una giurisdizione a fiscalità privilegiata?

    Come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 35/2016, la provenienza da paesi con regimi fiscali privilegiati è applicabile:

    • per le partecipazioni dirette in imprese situate in paesi con un regime fiscale privilegiato, anche se la quota di partecipazione non garantisce il controllo;
    • per le partecipazioni indirette in imprese situate in paesi con regimi fiscali privilegiati, a condizione che siano detenute, anche in misura minoritaria, da società controllate dalla società residente in Italia.

    Quando un regime fiscale è considerato “privilegiato”?

    Secondo l’art. 47-bis, comma 1, del TUIR, i regimi fiscali esteri sono considerati privilegiati quando:

    • per partecipazioni di controllo (così come definito dall’art. 167, comma 2 del TUIR), il livello di tassazione effettiva è inferiore del 50% a quello italiano;
    • per partecipazioni non di controllo, vale lo stesso criterio ma riferito alla tassazione nominale.

    In quest’ultimo caso, vanno considerati anche i regimi speciali (free zones, microimprese, ruling, agevolazioni temporanee).

    Quali sono tipicamente i paesi a fiscalità privilegiata?

    Esempi tipici di giurisdizione da cui possono provenire dividendi di questo tipo sono gli Emirati Arabi, Hong Kong, la Bulgaria, Panama, ma il calcolo deve essere realizzato ogni qualvolta il dividendo sia proveniente da una giurisdizione extra UE o extra SEE.

    I Paesi UE e SEE sono considerati a fiscalità privilegiata?

    No. A differenza di quanto avviene per il regime delle CFC, anche se offrono regimi fiscali favorevoli (es. la “two tier structure” a Malta), non sono mai considerati paradisi fiscali ai sensi dell’art. 47-bis del TUIR.

    E se la società estera è quotata?

    In questo caso, i dividendi sono soggetti a una ritenuta a titolo d’imposta del 26% sull’intero ammontare percepito, come previsto dall’art. 27, comma 4, lett. b, secondo periodo, del DPR 600/1973.

    Quando si può disapplicare la disciplina della tassazione integrale?

    Secondo l’art. 47-bis, comma 2, del TUIR, si può disapplicare il regime di tassazione integrale  in due casi:

    • se l’entità estera svolge un’attività economica effettiva (personale, mezzi, locali);
    • se si dimostra che la partecipazione non ha avuto l’effetto di localizzare redditi in Stati a fiscalità privilegiata.

    Ci sono eccezioni automatiche alla tassazione integrale?

    Sì. I dividendi non sono interamente tassati se:

    • sono già stati imputati al socio ai sensi dell’art. 167 del TUIR (CFC);
    • è stata presentata un’istanza di interpello con la quale il contribuente dimostra l’assenza di localizzazione artificiosa dei redditi in territori a fiscalità privilegiata (art. 47-bis, comma 2, lett. b).

    Come si ottiene la disapplicazione della tassazione integrale?

    Ci sono due modalità:

    • Interpello preventivo: da presentare prima della dichiarazione dei redditi;
    • Controllo successivo: indicazione obbligatoria nel modello Redditi PF, rigo RL1, con codice specifico a seconda della motivazione.

    È ammesso il credito per le imposte estere?

    Sì. Secondo l’art. 165 del TUIR e la Risoluzione 147/E/2007, il credito d’imposta è ammesso anche per dividendi da paradisi fiscali, senza restrizioni legate al livello di tassazione del Paese estero o alla presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni.

    Che cos’è il credito d’imposta indiretto?

    Ai sensi dell’art. 47, comma 4, del TUIR, il contribuente può richiedere il credito d’imposta indiretto per le imposte pagate dalla società estera, a condizione che dimostri l’effettività dell’attività d’impresa, come richiesto dall’art. 47-bis, comma 2, lett. a.

    Conclusioni

    La tassazione dei dividendi provenienti da paradisi fiscali è severa, ma sono previste esimenti e strumenti di tutela. È cruciale gestire correttamente la documentazione e gli interpelli, per evitare la doppia imposizione e sfruttare i crediti spettanti.

  • Dividendi di fonte estera: come sono tassati in Italia per le persone fisiche residenti?

    Dividendi di fonte estera: come sono tassati in Italia per le persone fisiche residenti?

    I dividendi percepiti da ocietà estere sono soggetti a tassazione sia nel paese d’origine sia in Italia. In questo articolo, analizziamo le regole fiscali applicabili ai dividendi esteri percepiti da persone fisiche residenti in Italia, considerando le convenzioni contro le doppie imposizioni e la normativa domestica.

    Qual è il principio generale di tassazione per i residenti in Italia?

    Le persone fisiche residenti in Italia sono soggette al principio della worldwide taxation, secondo cui devono dichiarare e tassare in Italia tutti i redditi ovunque prodotti, inclusi i dividendi di fonte estera, assoggettati, di regola, ad una ritenuta a titolo di imposta del 26% ex art.  27, c. 4, del DPR 600/73 . Tale modalità di tassazione viene meno per i dividendi che provengono da paesi a fiscalità privilegiata, dei quali parleremo in uno specifico articolo.

    Come sono tassati i dividendi esteri percepiti tramite intermediario residente?

    Se i dividendi esteri sono percepiti attraverso un intermediario finanziario residente in Italia (es. banca o fiduciaria), la ritenuta si applica sul cosiddetto “netto frontiera” , ovvero sul dividendo al netto delle ritenute subite nello Stato estero.. In questa casistica l’importo non deve essere dichiarato nel Modello Redditi.

    E se i dividendi esteri sono percepiti senza l’intervento di un intermediario residente?

    In assenza di un intermediario residente, ad esempio quando l’importo viene accreditato direttamente su un conto corrente estero, il contribuente deve dichiarare i dividendi nel quadro RM della dichiarazione dei redditi e versare un’imposta sostitutiva del 26% sull’importo lordo del dividendo percepito.. L’impostazione dell’Agenzia delle Entrate, che considera il dividendo lordo come base imponibile per l’imposta sostitutiva, ha sollevato diverse critiche in dottrina. In particolare, si evidenzia una potenziale violazione dell’articolo 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che vieta restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri.

    È possibile evitare la doppia imposizione sui dividendi esteri?

    Sì, grazie alle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con numerosi paesi, è possibile ridurre o eliminare la doppia tassazione. Tali convenzioni stabiliscono le aliquote massime di ritenuta alla fonte applicabili e le modalità per ottenere il credito d’imposta in Italia.

    Quando si ha diritto al credito d’imposta per le imposte pagate all’estero?

    Il credito d’imposta è riconosciuto solo se:

    • Il dividendo estero è stato tassato in Italia in modo ordinario, cioè concorre alla formazione del reddito complessivo;
    • L’imposta estera è stata effettivamente pagata e non è rimborsabile.

    Ai sensi della normativa domestica, non è riconosciuto il credito d’imposta se il dividendo è stato tassato in Italia con ritenuta a titolo d’imposta o imposta sostitutiva.

    Come si calcola l’imposta italiana sui dividendi esteri?

    • Con intermediario residente: si applica la ritenuta del 26% sul “netto frontiera”.
    • Senza intermediario residente: si applica l’imposta sostitutiva del 26% sul valore lordo percepito.”.

    Giurisprudenza e precedenti

    La più recente giurisprudenzasta consolidando l’orientamento secondo cui, qualora in base alle convenzioni l’assoggettamento a imposizione in Italia con imposta sostitutiva avvenga obbligatoriamente, l’imposta estera si deve considerare detraibile, superando l’impossibilità di fruire del credito d’imposta in caso di reddito che non concorrono alla formazione della base imponibile IRPEF (Cass. 8.11.2024 n. 28801; Cass. 1.9.2022 n. 25698; C.G.T. I Siena 11.4.2024 n. 68/1/24; C.G.T. I Milano 19.7.2024 n. 3184/13/24).

    Alla luce di questo orientamento, il consiglio è quello di presentare un’istanza di rimborso dell’imposta estera, come avvenuto nei casi oggetto di sentenza, in attesa di eventuali modifiche normative che possano chiarire ulteriormente la disciplina in materia.

    Questo principio può essere esteso anche ai rapporti disciplinati da trattati simili a quello tra Italia e Stati Uniti, come ad esempio quelli stipulati con Francia, Regno Unito e Germania.

    Per il credito relativo alle imposte estere detratte dall’imposta sostitutiva sui dividendi, si rimanda allo specifico articolo.

    Esempio di Tassazione

    Un esempio pratico aiuta a comprendere meglio la disparità tra i regimi di tassazione. Consideriamo un dividendo lordo di 1.000.000 con una ritenuta estera del 15% (150.000):

    • Percezione diretta: L’imposta sostitutiva del 26% si applica sull’importo lordo, pari a 260.000, portando l’onere fiscale totale a 410.000 e il dividendo netto a 590.000.
    • Percezione tramite intermediario: La ritenuta si applica sul “netto frontiera” di 850.000, risultando in un’imposta di 221.000. L’onere complessivo è di 371.000, con un dividendo netto di 629.000.

    Conclusioni e Implicazioni Fiscali

    La disparità nei regimi di tassazione può comportare oneri aggiuntivi per i contribuenti che percepiscono dividendi direttamente dall’estero. Inoltre, la possibilità di ottenere un rimborso per la differenza d’imposta rimane limitata, come evidenziato dalla giurisprudenza recente.

    In tale contesto, è essenziale valutare attentamente il regime fiscale applicabile e considerare l’assistenza di un consulente per ottimizzare la gestione delle imposte sui dividendi esteri.


  • Dividendi di fonte italiana: applicazione ritenuta convenzionale

    Dividendi di fonte italiana: applicazione ritenuta convenzionale

    Regime Fiscale Ordinario: Applicazione della Ritenuta al 26%

    I dividendi distribuiti da società italiane a soggetti non residenti, inclusi coloro che risiedono in paesi a fiscalità privilegiata, sono assoggettati a una ritenuta fiscale del 26% sull’intero importo del dividendo, a condizione che la partecipazione non sia collegata a una stabile organizzazione situata in Italia.

    Rimborso Parziale della Ritenuta (11/26)

    L’articolo 27, comma 3, del DPR 600/73 prevede che i soggetti non residenti possano richiedere il rimborso di una parte della ritenuta applicata in Italia, fino a un massimo di 11/26. Per ottenere il rimborso, è necessario dimostrare, tramite una certificazione dell’ufficio fiscale estero competente, di aver pagato imposte definitive sugli stessi utili nel Paese di residenza.

    La richiesta di rimborso deve essere presentata al Centro Operativo di Pescara entro 48 mesi dall’applicazione della ritenuta.

    Come indicato nella Circolare Ministeriale 24 giugno 1998, n. 165/E, il contribuente non residente può scegliere il regime più vantaggioso tra il rimborso ordinario (11/26) e quello previsto da eventuali Convenzioni contro le doppie imposizioni.

    Le Convenzioni contro le doppie Imposizioni

    La normativa nazionale deve essere integrata con le regole previste dalle Convenzioni contro la doppia imposizione, basate sul modello OCSE.

    Queste Convenzioni, nella maggior parte dei casi, prevedono:

    • Il diritto dello Stato in cui ha sede la società che distribuisce i dividendi (Italia) di applicare una ritenuta fiscale, generalmente pari al 15%.
    • Un’aliquota ulteriormente ridotta (fino al 5%) per dividendi distribuiti tra società dello stesso gruppo.

    Nel caso di soci persone fisiche non residenti, la ritenuta applicata in uscita è generalmente pari al 15%.

    L’Agenzia delle Entrate, inoltre, nella risposta all’interpello n. 17 del 12 gennaio 2022, ha chiarito che una partnership estera (ad esempio britannica) non può beneficiare direttamente delle agevolazioni previste dalla Convenzione con l’Italia. Tuttavia, i partner della partnership possono accedere ai benefici convenzionali per la loro quota di reddito, a condizione che:

    • Siano soggetti a imposizione nel proprio Paese di residenza.
    • Siano i beneficiari effettivi dei dividendi.

    Come Richiedere l’Applicazione delle Convenzioni o il Rimborso

    Per beneficiare di un’aliquota ridotta prevista da una Convenzione contro la doppia imposizione, oppure per richiedere il rimborso delle ritenute eccedenti, il socio non residente deve agire preventivamente.

    La richiesta si effettua utilizzando il modello A (approvato con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 84404 del 10 luglio 2013), che deve includere:

    • L’attestazione di residenza fiscale rilasciata dall’autorità fiscale del Paese estero.
    • La certificazione dell’autorità fiscale estera relativa alla residenza del beneficiario.

    Il modello deve essere inviato:

    • Al sostituto d’imposta italiano, per ottenere l’applicazione diretta dell’aliquota ridotta.
    • Al Centro Operativo di Pescara, per il rimborso delle ritenute eccedenti già versate.

    Per i residenti in Italia, l’attestato di residenza fiscale italiana viene rilasciato dalla Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate utilizzando il modello approvato con lo stesso provvedimento.

    Conclusioni

    La tassazione dei dividendi distribuiti a soggetti non residenti richiede un’attenta gestione della normativa nazionale e delle disposizioni previste dalle Convenzioni internazionali. Presentare in modo tempestivo e completo la documentazione necessaria consente di beneficiare delle aliquote ridotte e di evitare la doppia imposizione sui redditi percepiti.

    Per i dividendi di fonte estera, si rimanda allo specifico articolo.

  • Residenza fiscale delle società ed Esterovestizione

    Residenza fiscale delle società ed Esterovestizione

    L’esterovestizione societaria è un fenomeno frequentemente sottovalutato dagli imprenditori, i quali spesso pensano di poter costituire società in giurisdizioni con una fiscalità più vantaggiosa rispetto a quella italiana e di continuare ad amministrarle dal nostro paese.

    Residenza fiscale delle società

    Ai sensi dell’art. 73 co. 3 del TUIR, come modificato a partire dal 2024, si considerano residenti in Italia le società, incluse quelle di persone, e gli enti, come i trust, che hanno nel territorio dello Stato, per la maggior parte del periodo d’imposta, ovvero per almeno 183 o 184 giorni, alternativamente:

    • la sede legale: si identifica con la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto;
    • la sede di direzione effettiva: per la quale si intende “la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso“, mentre “non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi“.
    • la gestione ordinaria in via principale: con cui si intende “il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso“. Sul punto, la circ. Agenzia delle Entrate 20/E del 2024 ha precisato che il criterio di collegamento è “associato al luogo in cui si esplicano il normale funzionamento della società e gli adempimenti che attengono all’ordinaria amministrazione della stessa“, che i fattori di determinazione della gestione ordinaria “variano a seconda della conformazione della struttura imprenditoriale, dell’attività caratteristica, nonché della organizzazione del complesso aziendale della società o dell’ente” e che la gestione “deve riguardare l’impresa nel suo complesso, con l’intento di distinguere lo Stato di residenza della persona giuridica dal luogo di collocamento della stabile organizzazione“.

    Convenzioni contro le doppie imposizioni e doppia residenza

    Nel caso in cui una società sia considerata fiscalmente residente da due diversi Paesi sulla base delle rispettive norme nazionali, si applica l’art. 4 par. 3 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni.

    Nel modello risultante a seguito dell’aggiornamento del 2017 viene rimessa la risoluzione dei casi di doppia residenza delle società al comune accordo delle competenti autorità degli Stati contraenti, tenendo conto della sua sede di direzione effettiva, del luogo in cui è costituita o altrimenti costituita e di qualsiasi altro fattore rilevante.

    Tuttavia, la maggior parte delle Convenzioni stipulate dall’Italia (facenti riferimento alla precedente versione del 2014) danno, invece, prevalenza al solo criterio della sede di direzione effettiva.

    Esterovestizione

    L’art. 73 co. 3, 5-bis e 5-ter del TUIR individua una presunzione legale relativa di residenza nel territorio dello Stato dei trust e delle società o enti esterovestiti.

    In particolare, il co. 5-bis dell’art. 73 del contiene la presunzione legale relativa di residenza in Italia delle società ed enti che detengono partecipazioni di controllo in società ed enti, se, in alternativa:

    • sono, a loro volta, controllati, ai sensi dell’art. 2359 del Codice Civile, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio italiano;
    • ovvero sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo di gestione, composto in prevalenza da soggetti residenti in Italia.

    Come indicato nella circ. Agenzia delle Entrate 28/E del 2006, la presunzione di esterovestizione e si applica anche nel caso in cui si interpongano nella catena di controllo più sub holding estere. In merito all’ipotesi legata alla residenza degli amministratori, invece, la circ. Agenzia delle Entrate 11/E del 2007 prevede che:

    • la società sarà considerata fiscalmente residente qualora, per la maggior parte del periodo d’imposta, risulti amministrata da consiglieri residenti in Italia;
    • la residenza degli amministratori della società deve essere stabilita sulla base dei criteri previsti dall’art. 2 del TUIR.

    Il co. 5-bis dell’art. 73 del TUIR, in caso di esterovestizione, prevede l’inversione a carico del contribuente dell’onere della prova.
    Per superare tale presunzione, la società dovrà, pertanto, dimostrare “con argomenti adeguati e convincenti” che “esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero

    Giurisprudenza di merito

    Esempio di giurisprudenza di merito è la Cass. n. 43809 del 2015, in base alla quale non si può considerare esterovestita la controllata estera dotata di una propria struttura, anche se minima, che le consente di svolgere l’attività prevista dallo Statuto sociale. L’accertamento dell’esterovestizione riguarda, infatti, le sole società “schermo” (o “caselle postali”) che si caratterizzano quali costruzioni di puro artificio, costituite nello Stato estero al solo fine di beneficiare di regimi fiscali più favorevoli.
    La C.T. Prov. Como n. 91/1/13 ha stabilito che non sussiste ila fattispecie di esterovestizione ove la società presenti all’estero stabilimenti, uffici, personale dipendente, organismi direttivi, sedi di decisioni strategiche, autonomie operative, profitti, interessi ed attività sovranazionali. La residenza fiscale in Italia di un soggetto estero deve, infatti, basarsi su un’analisi complessiva della situazione di fatto e non deve essere limitata ad una valutazione acritica fondata sulle presunzioni normative.

    Effetti

    Qualora il contribuente non riuscisse a dimostrare che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, i redditi conseguiti dal soggetto “esterovestito” saranno, pertanto, assoggettati a tassazione in Italia.

    Si può portare ad esempio, il caso di molti imprenditori digitali che operano dall’Italia attraverso società costituite off-shore, come le LLC statunitensi, ma la cui gestione ed amministrazione avviene in Italia. In questi casi, qualora oggetto di accertamento, tali società verrebbero considerate fiscalmente residenti nel nostro paese ed ivi assoggettate a tassazione.

  • Trasferimento della residenza fiscale all’estero e controlli dell’Agenzia delle Entrate

    Trasferimento della residenza fiscale all’estero e controlli dell’Agenzia delle Entrate

    Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha intensificato le verifiche sui cittadini italiani che hanno trasferito la propria residenza fiscale all’estero. Lobiettivo è contrastare il fenomeno dellesterovestizione personale, ovvero trasferimenti solo formali, volti a evitare la tassazione in Italia (per la quale si rimanda allo specifico articolo).

    Quali rischi corre chi si trasferisce senza conoscere la normativa?

    Anche un trasferimento all’estero genuino può comportare gravi conseguenze fiscali se non si valutano le implicazioni fiscali e i poteri di controllo dell’Agenzia delle Entrate.

    Come funziona il sistema delle liste selettive”?

    Gli accertamenti fiscali sugli espatriati si basano su liste selettive”, elenchi di soggetti italiani che potrebbero aver simulato il trasferimento di residenza. Questo sistema è previsto dal Provvedimento n. 43999  del 3 marzo 2017.

    Qual è lo scopo delle liste selettive?

    Le liste servono a identificare i cosiddetti falsi residenti allestero”, valutando tre criteri principali:

    • Residenza: luogo della dimora abituale.
    • Domicilio: luogo dove si sviluppano relazioni personali e familiari.
    • Presenza fisica: permanenza effettiva in Italia.

    Che ruolo hanno i Comuni e liscrizione allAIRE?

    Ai sensi dell’art. 83 del D.L. 112/2008, i Comuni sono tenuti ad inviare all’Agenzia delle Entrate i dati di chi si iscrive all’AIRE. Questo adempimento è obbligatorio per chi si trasferisce, ma può comportare controlli sulla veridicità del trasferimento.

    Chi viene controllato?

    Gli accertamenti si concentrano sui trasferimenti non genuini, creati con lo scopo di eludere la tassazione in Italia. Tuttavia, anche chi ha realmente lasciato il Paese può risultare nella lista, se emergono indici di collegamento con l’Italia.

    Quali sono gli elementi che possono far scattare un controllo?

    L’Agenzia delle Entrate monitora diversi indicatori, tra cui:

    • Residenza dichiarata in uno degli Stati e territori a fiscalità privilegiata, individuati dal Decreto del Ministero delle Finanze 4 maggio 1999; (rilevante ai fini dell’articolo 2, comma 2-bis DPR n. 917/86).
    • Movimenti di capitale da e verso lestero, trasmessi dagli operatori finanziari nell’ambito del monitoraggio fiscale di cui al D.L. n. 167/1990. In relazione a questo adempimento assumono rilevanza anche gli obblighi di segnalazione delle operazioni transfrontaliere da parte degli istituti bancari;
    • Informazioni relative a patrimoni immobiliari e finanziari detenuti allestero, trasmesse dalle Amministrazioni fiscali estere nell’ambito di Direttive europee e di accordi di scambio automatico di informazioni;
    • Residenza in Italia del nucleo familiare del contribuente;
    • Atti del registro segnaletici dell’effettiva presenza in Italia del contribuente;
    • Utenze elettriche, idriche, del gas e telefoniche attive;
    • Disponibilità di autoveicoli, motoveicoli e unità da diporto;
    • Titolarità di partita IVA attiva;
    • Rilevanti partecipazioni in società residenti di persone o a ristretta base azionaria;
    • Titolarità di cariche sociali;
    • Versamento di contributi per collaboratori domestici;
    • Informazioni trasmesse dai sostituti d’imposta con la Certificazione unica e con il modello dichiarativo 770;
    • Informazioni relative a operazioni rilevanti ai fini IVA, comunicate ai sensi dell’art. 21, D.L. n. 78/2010 nonché ai sensi del D.Lgs. n. 127/2015.

    È rilevante il possesso di un immobile in Italia?

    Sì, la disponibilità di unabitazione in Italia per più di 90 giorni lanno è considerata un elemento significativo ai fini fiscali.

    La check list connessa all’applicazione del regime fiscale dei c.d. “neo-residenti” in Italia include questa informazione tra quelle utili per verificare gli anni di residenza fiscale estera pregressa.

    I dati AIRE come vengono trasmessi?

    Il Ministero dell’Interno comunica periodicamente (almeno ogni sei mesi) all’Agenzia delle Entrate le liste dei cittadini iscritti all’AIRE o che hanno fatto richiesta.

    Che ruolo hanno gli accordi internazionali sullo scambio di informazioni?

    Il bacino di informazioni a disposizione dell’Agenzia delle Entrate è ulteriormente incrementato da quelle che possono provenire da accordi internazionali di scambio automatico (es. DAC1, DAC2, DAC5, DAC7, DAC8, FATCA, CRS), che rafforzano la capacità dell’Agenzia di incrociare i dati a livello globale e di intercettare eventuali incongruenze o irregolarità.

    Linserimento in lista porta automaticamente a un accertamento?

    No. Linserimento in una lista selettiva non equivale a una notifica automatica di accertamento fiscale. Serve solo a guidare l’Agenzia nell’eventuale invio di inviti e questionari, primo passo di una verifica.

  • Residenza fiscale delle persone fisiche ed Esterovestizione

    Residenza fiscale delle persone fisiche ed Esterovestizione

    Il presente contributo tratta della residenza fiscale delle persone fisiche. Ai sensi dell’art. 3 del TUIR, le persone fisiche residenti in Italia sono assoggettate a tassazione per i redditi ovunque prodotti, in Italia e all’estero.

    Al contrario, i soggetti non residenti sono tassati in Italia solo sui  ai redditi prodotti nel territorio dello Stato.

    Ai fini IRPEF, a partire dal 2024, sono considerate residenti in Italia le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta, ovvero 183 o 184 giorni negli anni bisestili, considerando anche la frazioni di giorno, alternativamente:

    • hanno la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 43 co. 2 c.c. (“la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”);
    • hanno il domicilio nel territorio dello Stato (per domicilio, a tal fine si intende per espressa previsione dell’art. 2 co. 2 del TUIR, “il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona”);
    • sono presenti nel territorio dello Stato;
    • salvo prova contraria, risultano iscritte nelle anagrafi della popolazione residente.

    Ad esempio, la persona trasferitasi all’estero, senza aver effettuato l’iscrizione all’AIRE, a partire dal 2024 non potrà più essere considerata fiscalmente residente in Italia se prova di non aver avuto in Italia la residenza civilistica, il domicilio o di non essere stato presente sul territorio nazionale per la maggior parte del periodo di imposta.

    La Circolare 20/E del 2024, fornisce alcuni esempi relativi alla determinazione del domicilio relativo alla residenza fiscale delle persone fisiche:

    • il caso di una persona, iscritta all’AIRE, che lavora all’estero ma mantiene a propria disposizione, a qualunque titolo, una casa in Italia, lasciandovi attive le relative utenze, nella quale continua a rientrare nei fine settimana e dove trascorre alcuni periodi di astensione dal lavoro;
    • il caso di Tizio, avente un’abitazione di proprietà sia in Italia, sia nello Stato estero Beta: nell’abitazione italiana sono presenti i figli, nati da un primo matrimonio, mentre nella casa situata all’estero vive l’attuale coniuge; la persona lavora ordinariamente in Italia, si reca frequentemente in vari Paesi per viaggi professionali nonché nello Stato Beta durante i fine settimana e i periodi di astensione dal lavoro; il periodo di permanenza in Italia è quello più lungo rispetto agli altri Stati, circostanza che induce l’Agenzia a considerare la persona residente in Italia.

    Trasferimento della residenza fiscale delle persone fisiche in paradisi fiscali

    Il DM 4.5.99 indica la lista degli Stati o territori per i quali opera la presunzione relativa di residenza delle persone fisiche, prevista dall’art. 2 co. 2-bis del TUIR. In base a tale norma, infatti, si continuano a considerare fiscalmente residenti in Italia, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati di cui al decreto menzionato.

    Esempi di paradisi fiscali sono gli Emirati Arabi, Panama, Hong Kong e Singapore. A partire dal 2024 è stata eliminata dalla lista, invece, la Svizzera.


    La presunzione si applica anche al caso del cittadino italiano che essendo stato a suo tempo iscritto nell’Anagrafe della popolazione residente si trasferisca in un paese a fiscalità privilegiata da un altro paese estero che non è incluso nella lista.

    La norma pone a carico del soggetto che si è trasferito all’estero l’onere di dimostrare la propria residenza estera, onere della prova che, invece, in caso di trasferimento in altre giurisdizioni, sarebbe a carico dell’Agenzia delle Entrate.

    Per dimostrare la genuinità del trasferimento della residenza fiscale all’estero, il contribuente potrebbe utilizzare gli elementi di prova individuati nella C.M. 2.12.97 n. 304/E, ossia:

    • disponibilità di un’abitazione permanente nel Paese estero adeguata ai bisogni abitativi personali e familiari;
    • stipula di contratti di locazione o acquisto di immobili residenziali adeguati ai bisogni abitativi personali e familiari;
    • pagamento di canoni per la fornitura di servizi (acqua, luce, gas, telefono, ecc.) nel Paese estero;
    • assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia;
    • svolgimento di un rapporto di lavoro a carattere continuativo o di attività economica nel Paese estero;
    • mantenimento della famiglia all’estero, con iscrizione ed effettiva frequenza dei figli in istituti scolastici o di formazione del Paese estero;
    • accreditamento nel Paese estero di proventi ovunque conseguiti e movimentazione di somme di denaro o altre attività finanziarie;
    • possesso all’estero di beni anche mobiliari;
    • eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese estero.

    Al contrario, tra gli indici più significativi di residenza fiscale delle persone fisiche individuati dall’Agenzia delle Entrate e ricavabili anche dalla domanda di applicazione dell’agevolazione di cui all’art. 24-bis del TUIR (c.d. agevolazione per i “neo residenti”), ci sono i seguenti:

    • La disponibilità, diretta o per interposta persona di una abitazione in Italia;
    • La presenza della famiglia (marito/moglie e/o figli, ma anche situazioni di convivenza) in Italia;
    • L’accreditamento di propri proventi nel Paese, ovunque conseguiti;
    • Il possesso diretto, o per interposta persona, di beni immobili lasciati a disposizione per oltre 90 giorni. Allo stesso modo è rilevante anche l’acquisto di beni immobili;
    • La presenza di cariche societarie in società residenti in Italia o, comunque, la partecipazione a riunioni d’affari;
    • Il mantenimento di relazioni sociali, l’iscrizione a circoli, club o associazioni di qualsiasi tipo;
    • Il trasferimento di denaro estero su Italia, tale da far presumere uno spostamento di interessi finanziari;
    • L’organizzazione della propria attività e dei propri impegni, anche internazionali, direttamente o attraverso soggetti operanti nel territorio italiano.

    Oltre a questi elementi a catturare l’attenzione dell’Amministrazione finanziaria sono anche i pagamenti effettuati in Italia da parte del soggetto.

    Convenzioni contro le doppie imposizioni

    Qualora un soggetto venga considerato fiscalmente residente in due diverse giurisdizioni ai sensi delle rispettive norme nazionali, si applicano le convenzioni contro le doppie imposizioni.

    L’art. 4 del modello OCSE precisa che il termine “residente di uno Stato contraente” designa “ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è ivi assoggettata ad imposta, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione, o di ogni altro criterio di natura analoga”.

    Per le persone fisiche, il modello di OCSE individua alcune regole (le coiddette “tie-breaker rules”) che servono per dirimere il conflitto di residenza che sorge ove un soggetto, in applicazione delle leggi nazionali, risulti residente in entrambi gli Stati contraenti.

    L’applicazione delle “tie-breaker rules” devono essere applicate nel seguente ordine gerarchico:

    • abitazione permanente (1° rule);
    • centro degli interessi vitali (2° rule);
    • luogo di soggiorno abituale (3° rule);
    • nazionalità (4° rule);
    • accordo fra gli Stati (criterio residuale).

    Le Convenzioni contro le doppie imposizioni costituiscono fonti vincolanti per gli Stati contraenti ed hanno efficacia di legge primaria prevalendo sulle norme interne (art. 75 del TUIR e art. 117 Cost.) in quanto norme speciali (Cass. 14240/2021; Cass. n. 1138/2009)

    Esterovestizione personale

    Nel caso in cui venisse constatato il fenomeno dell’esterovestizione personale, i redditi conseguiti all’estero sarebbero considerati imponibili in Italia e, dal 2024, assoggettati all’applicazione di una sanzione del 120% (in caso di omessa dichiarazione dei redditi.

    Verrebbe inoltre applicata una sanzione dal 3% al 15% del valore delle attività patrimoniali e finanziarie di fonte estera non dichiarate nel quadro RW ai fini del monitoraggio fiscale. Le sanzioni sono raddoppiate nel caso in cui le attività siano detenute nei paradisi fiscali menzionati anteriormente.