Categoria: Fiscalità internazionale

  • Rimborso credito IVA per soggetti passivi UE non stabiliti in Italia

    Rimborso credito IVA per soggetti passivi UE non stabiliti in Italia

    I soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro dell’UE, che abbiano nominato un rappresentante fiscale in Italia o si siano identificati direttamente ai fini IVA, possono chiedere il rimborso del credito IVA maturato nel nostro Paese tramite:

    1. Portale elettronico, ai sensi dell’art. 38-bis2 del DPR 633/72.
    2. Procedure ordinarie italiane (dichiarazione annuale e modello TR).

    L’IVA rimborsabile riguarda l’imposta assolta su:

    • Importazioni di beni.
    • Acquisti di beni e servizi in Italia, se detraibili ai sensi degli artt. 19, 19-bis1 e 19-bis2 del DPR 633/72.

    Procedura tramite portale elettronico

    • La richiesta è presentata nello Stato UE di stabilimento, che la trasmette all’Agenzia delle Entrate italiana.
    • Periodo di riferimento:
      • Trimestrale: minimo tre mesi, salvo il periodo residuo dell’anno.
      • Annuale: massimo un anno solare.
    • Termini di presentazione (Provv. Agenzia Entrate n. 53471/2010):
      • Rimborso trimestrale: dal primo giorno del mese successivo al trimestre fino al 30 settembre dell’anno seguente.
      • Rimborso annuale: dal 1° gennaio al 30 settembre dell’anno successivo.
    • Importi minimi per il rimborso:
      • 400 euro per richieste infrannuali.
      • 50 euro per richieste annuali.

    Condizioni per il rimborso tramite portale elettronico

    Il soggetto passivo non deve:

    • Avere una stabile organizzazione in Italia.
    • Aver effettuato operazioni territorialmente rilevanti, salvo eccezioni:
      • Operazioni soggette a reverse charge.
      • Prestazioni di trasporto e servizi accessori non imponibili (art. 9 DPR 633/72).
      • Operazioni ex art. 74-septies DPR 633/72.
    • Deve svolgere operazioni che danno diritto alla detrazione IVA nello Stato membro di stabilimento.

    La nomina di un rappresentante fiscale in Italia non preclude il rimborso tramite portale elettronico (Cass. 24207/2023 e 1031/2022; CGUE C-323/12 e C-242/19).

    Fatture valide per il rimborso

    Secondo la prassi (interpelli Agenzia Entrate nn. 339/2020, 359/2021, 147/2024, 236/2024), le fatture devono:

    • Essere intestate alla partita IVA del soggetto non residente.
    • Non essere incluse nelle liquidazioni periodiche e dichiarazioni annuali con la partita IVA italiana.

    Se la fattura è intestata alla partita IVA italiana, il rimborso avviene esclusivamente con le procedure ordinarie previste per i soggetti italiani (art. 38-bis DPR 633/72).

    Procedura ordinaria di rimborso IVA

    Per i soggetti identificati in Italia, il rimborso del credito IVA segue l’art. 30 DPR 633/72:

    • Annuale: Quadro VX della dichiarazione IVA, da presentare tra 1° febbraio e 30 aprile dell’anno successivo (art. 8 DPR 322/98).
    • Trimestrale: Modello TR, da inviare entro l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre (art. 8, c. 2 DPR 542/99).
    • Importo minimo per il rimborso: 2.582,28 euro, senza ulteriori condizioni per i soggetti non residenti con rappresentante fiscale o identificazione diretta (art. 30, c. 2, lett. e) DPR 633/72).
  • Tassazione stock option

    Tassazione stock option

    Uno dei temi più dibattuti, soprattutto nell’ambito della mobilità internazionale di manager e dipendenti, riguarda la tassazione delle stock option.

    Definizione di stock option

    I piani di stock option conferiscono generalmente a dipendenti e amministratori il diritto di acquistare, dopo un periodo prestabilito, un certo numero di azioni a un prezzo predefinito.

    Questo diritto nasce dalla stipula di un accordo tra l’azienda e il lavoratore, in cui viene stabilito che, trascorso un determinato periodo, il lavoratore può convertire le opzioni ricevute in azioni della società (Risoluzione n. 29/E/2001 dell’Agenzia delle Entrate).

    Si tratta, quindi, di un diritto che consente di acquistare azioni della società in una data futura a un prezzo stabilito in anticipo.

    Le fasi principali del piano di stock option sono:

    • grant date: la data in cui viene concesso il diritto di opzione;
    • vesting date: il momento in cui il lavoratore può esercitare il diritto;
    • exercise date: la data effettiva di esercizio dell’opzione;
    • expiration date: il termine entro cui l’opzione deve essere esercitata.

    Trattamento fiscale

    Le stock option costituiscono una forma di retribuzione aggiuntiva per il lavoratore dipendente e, di conseguenza, sono assimilate ai fringe benefit e soggette a tassazione IRPEF, calcolata sulla differenza tra il valore normale e il prezzo di assegnazione.

    Ulteriori implicazioni fiscali si verificano nel caso di incasso di dividendi sulle azioni o di successiva vendita delle stesse

    Normativa fiscale internazionale

    Il regime fiscale internazionale delle stock option è regolato dal Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, che distingue due fasi:

    • vesting period: durante l’assegnazione degli strumenti finanziari e per tutto il periodo in cui non è possibile disporne liberamente, essi sono trattati come fringe benefit;
    • esercizio dell’opzione: una volta esercitato il diritto, si applica l’art. 13 della Convenzione, che considera il dipendente come azionista, con conseguente tassazione delle plusvalenze derivanti dalla crescita del valore del titolo o dalla sua cessione.

    Il Commentario OCSE all’art. 15 del Modello di Convenzione esamina, inoltre, aspetti legati alla mobilità internazionale dei lavoratori e all’impatto fiscale sulle stock option maturate durante periodi di residenza in diversi paesi.

    Secondo il Modello OCSE, la tassazione di questi strumenti finanziari avviene nel paese di residenza fiscale del soggetto alienante. Gli obblighi dichiarativi riguardano tre aspetti principali:

    • il reddito da lavoro dipendente derivante dall’assegnazione o dall’esercizio delle azioni;
    • i dividendi percepiti sulle azioni assegnate;
    • le plusvalenze derivanti dalla cessione delle azioni.

    Regime fiscale in Italia

    In Italia, i redditi da lavoro dipendente derivanti dall’assegnazione di azioni sono considerati compensi in natura e valutati secondo l’art. 51 co. 3 del TUIR, basandosi sul “valore normale”.

    Il reddito imponibile da lavoro dipendente è dato dalla differenza tra:

    • il “valore normale” delle azioni assegnate, come previsto dall’art. 9 del TUIR;
    • il prezzo pagato al momento dell’esercizio dell’opzione.

    Secondo la circolare 54/2008 dell’Agenzia delle Entrate, se il prezzo pagato è inferiore al valore normale del titolo, il lavoratore deve assoggettare la differenza a tassazione come reddito da lavoro dipendente.

    L’imponibilità si concretizza nel momento in cui le azioni vengono assegnate al dipendente, corrispondente alla data di esercizio dell’opzione (exercise date), indipendentemente dalla successiva emissione o consegna del titolo (circ. 09/09/2008 n. 54; risposta interpello 05/02/2020 n. 23).

    L’azienda erogante funge da sostituto d’imposta, applicando una ritenuta IRPEF a titolo di acconto, calcolata con aliquote progressive. Per le azioni non quotate, la valutazione si basa su perizia della società, mentre per quelle quotate si utilizza la media delle quotazioni dell’ultimo mese (art. 9 co. 4, lett. a, del TUIR).

    La tassazione avviene quindi in due momenti distinti:

    • al momento dell’esercizio, con aliquote IRPEF tra il 23% e il 43%, oltre alle addizionali;
    • eventualmente, al momento della vendita delle azioni, con un’imposta sul capital gain del 26%.

    L’eventuale plusvalenza è calcolata sulla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto. Se la differenza tra valore delle azioni ed esercizio è già stata tassata come reddito da lavoro dipendente, tale valore diventa il prezzo di acquisto ai fini della tassazione del capital gain.

    Cessione di partecipazioni

    In caso di vendita, può generarsi una plusvalenza o una minusvalenza. Il reddito è determinato come differenza tra il corrispettivo percepito e il costo di acquisto assoggettato a tassazione. Le plusvalenze rientrano nei redditi diversi (art. 67 del TUIR) e sono tassate con aliquota del 26%.

    Dividendi

    Gli utili percepiti dai dipendenti come azionisti sono considerati redditi di capitale (art. 44 co. 1 lett. e del TUIR) e tassati al 26%, salvo diversa disciplina per utili provenienti da paesi a fiscalità privilegiata.

    Esempio di attribuzione al lavoratore

    Si supponga che la società A deliberi, in data 01/01/2020, un piano di stock option attraverso il quale intenda attribuire al lavoratore Tizio opzioni relative a 10.000 azioni, al prezzo di 2 euro ciascuna (valore totale 10.000 x 2 = 20.000 euro), esercitabili non prima del 30/06/2025.

    Scaduto il termine, ad esempio il 02/07/2025, Tizio decide di esercitare l’opzione e, siccome i titoli, in quella data, risultano avere un valore pari a 3 euro, realizza un maggior valore di 10.000 euro, importo che concorre a formare reddito imponibile da lavoro dipendente.

    Stock option e regime forfettario

    In caso di assegnazione di azioni a beneficio di un lavoratore in regime forfetario, concorre alla formazione del reddito soggetto ad imposta sostitutiva del 15% il valore normale delle azioni determinato ai sensi dell’art. 9 co. 4 del TUIR. Tale valore concorre alla formazione del reddito nell’esercizio di assegnazione e rileva ai fini del computo della soglia dei 85.000 euro per la permanenza nel regime.

    L’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello 18/05/2022 n. 271, ha chiarito che non assume rilevanza, invece, quanto versato dall’imprenditore a titolo di strike price per l’acquisto delle azioni in quanto all’ammontare del valore normale sarà applicato il coefficiente di redditività ordinariamente previsto per l’attività esercitata.

    Stock option e regime degli impatriati

    Le stock option spesso maturano in più anni e vengono erogate successivamente, rendendo cruciale valutare lo status fiscale del percettore e il Paese in cui è stata svolta l’attività lavorativa. L’Agenzia delle Entrate, richiamando il principio di cassa del TUIR e la “maturazione territoriale” del § 2.2 del Commentario OCSE (art. 15), conferma che tali redditi sono imponibili nello Stato in cui è stata svolta l’attività, indipendentemente dal momento dell’erogazione.

    Secondo quanto riportato nell’ interpello n. 275/2022, se un reddito pluriennale riferito a lavoro svolto all’estero viene incassato in Italia durante la vigenza del regime impatriati, l’intero importo è imponibile in Italia, ma non beneficia dell’agevolazione. Tuttavia, l’imposta estera può essere recuperata ex art. 165 TUIR (circ. AdE n. 33/2020).

    Se il reddito è parzialmente maturato in Italia, solo questa quota rientra nel regime agevolato, calcolata in base ai giorni di lavoro svolti in Italia rispetto al totale.

    Un’ulteriore questione riguarda la tassazione dei redditi differiti tra il primo e il secondo quinquennio del regime di cui all’art. 16, DLgs. 147/2015: nell’interpello n. 854/2021 è stato chiarito che l’aliquota agevolata applicabile è quella vigente nell’anno di incasso. Tale problematica non si verifica più, invece, per coloro che beneficiano del nuovo regime degli impatriati di cui all’art. 5 del DLgs. 209/2023, in vigore dal 01/01/2024.

    Infine, per redditi maturati sotto il regime impatriati ma incassati dopo la sua scadenza, prevale il principio di cassa: saranno tassati ordinariamente senza agevolazioni (circ. AdE n. 33/2020, § 7.9).

    Ultimi pronunciamenti dell’Agenzia delle Entrate

    La risposta a interpello n. 81/2025 va in senso contrario a quanto appena detto. L’Agenzia delle Entrate ha esaminato il trattamento fiscale delle stock option nei rapporti transnazionali, giungendo a conclusioni differenti rispetto a quelle contenute in precedenti chiarimenti.

    Il caso analizzato riguarda un soggetto che ha avuto la residenza fiscale nel Regno Unito fino al 2023 e che è divenuto residente fiscale in Italia a partire dal 2024.

    Tale persona aveva sottoscritto con una società inglese, presso cui ha lavorato fino a dicembre 2023, un accordo di stock option articolato come segue:

    • un bonus relativo all’attività svolta nel Regno Unito nel periodo 2021-2023, erogato integralmente nel 2024 dalla società inglese;
    • un bonus riferito al lavoro prestato nei trienni 2022-2024 e 2023-2025, con competenza fiscale britannica rispettivamente per due terzi e un terzo, corrisposti nel 2025 e nel 2026;
    • ulteriori bonus relativi all’attività svolta successivamente, di competenza esclusivamente italiana, in quanto erogati dalla branch italiana del gruppo.

    Nonostante la natura di retribuzione differita di tali emolumenti, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che il momento impositivo è rappresentato dalla data di effettiva corresponsione delle azioni.

    Applicando l’articolo 15, paragrafo 1 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, l’Agenzia ha stabilito che, se un residente di uno Stato presta la propria attività lavorativa nello stesso Stato, spetta esclusivamente a quest’ultimo il diritto di tassare le retribuzioni percepite.

    Questo significa che qualora durante il vesting period il lavoratore abbia svolto la propria attività nel Regno Unito e fosse residente in tale Stato, il bonus deve essere assoggettato a tassazione esclusivamente nel Regno Unito, anche se il pagamento è avvenuto in un momento successivo, quando il beneficiario era ormai residente in Italia.

    Pertanto, il bonus relativo agli anni 2021-2023, in quanto legato ad attività lavorativa svolta nel Regno Unito da un soggetto residente in tale Stato, non è imponibile in Italia. Il premio relativo al periodo 2022-2024 è esente in Italia per 2/3, mentre quello relativo alle annualità 2023-2025 è esente in Italia per 1/3.

    Monitoraggio fiscale e quadro RW

    Ai sensi dell’art. 4 del DL 167/90, le attività finanziarie estere, incluse stock option e partecipazioni, devono essere dichiarate nel quadro RW del modello REDDITI o nel quadro W del modello 730.

    La risoluzione 73/2014 dell’Agenzia delle Entrate stabilisce che:

    • le stock option non cedibili non vanno dichiarate finché non scade il vesting period;
    • dopo il vesting period, vanno dichiarate solo se il prezzo di esercizio è inferiore al valore di mercato del sottostante;
    • i diritti di opzione cedibili vanno sempre dichiarati e assoggettati a IVAFE.

    Nel quadro RW, il valore iniziale è il prezzo di esercizio previsto dal piano, mentre il valore finale è il valore corrente del sottostante alla fine del periodo d’imposta.

    Le azioni acquisite tramite stock option devono sempre essere indicate nel quadro RW, anche se vendute contestualmente all’esercizio dell’opzione, per adempiere agli obblighi di monitoraggio fiscale e IVAFE. La valorizzazione si basa sul valore di mercato o, in assenza, sul valore nominale o di rimborso.

  • Vincite nei casinò a Las Vegas: tassazione in Italia

    Vincite nei casinò a Las Vegas: tassazione in Italia

    Un tema che viene affrontato raramente è quello della tassazione o meno delle vincite nei casinò.

    In base al comma 1-bis nell’art. 69 del TUIR “le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate nello Stato o negli altri Stati membri dell’Unione Europea o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta”.

    Questo significa che un residente fiscale Italiano non sarà assoggettato a tassazione come redditi diversi per i premi vinti nei casinò italiani, UE e SEE.

    Il principio è stato anche ribadito dalla Cassazione n. 13038 del 14 maggio 2021

    Cosa accade, invece, alle vincite realizzate in paesi extra UE? Ad esempio in uno dei casinò di Las Vegas.

    In questo caso, come chiarito dalla recente ordinanza n. 3879/2025 della Corte di Cassazione, non applica il comma 1-bis nell’art. 69 del TUIR, bensì il comma 1 in base al quale “i premi e le vincite di cui alla lett. d) del comma 1 dell’art. 67 costituiscono reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione”. La persona fisica residente in Italia che vince delle somme di denaro in un casinò extra UE è tenuta a dichiararla nel quadro RL del Modello Redditi e assoggettare il premio a tassazione IRPEF.

    La stessa Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Stati Uniti, all’art. 22, prevede la tassazione esclusiva delle vincite al casinò nello Stato di residenza del percettore del premio.

    Una situazione simile a quella di cui alla sentenza sopra menzionata, si è verificata in riferimento a vincite realizzate nel Principato di Monaco, anch’esso Paese extra UE, ed è stata trattata dalla Cassazione con la sentenza n. 24589/2020, la quale, anche in queto caso, ha statuito l’imponibilità in Italia del premio.

    Vale inoltre la pena di sottolineare che la norma prevede un regime di tassazione piena delle vincite, cioè al lordo delle spese sostenute per produrle.

  • Ritenuta sui dividendi distribuiti a società extra-UE: rimborso

    Ritenuta sui dividendi distribuiti a società extra-UE: rimborso

    Il contenuto esamina schematicamente la sentenza n. 509/2024 – CGT di Pescara in merito alla ritenuta sui dividendi di fonte italiana pagati ad una società statunitense.

    1. Contesto e Principio Violato

    • Decisione: La CGT di Pescara ha riconosciuto il rimborso alla società americana della differenza tra l’aliquota sulla ritenuta sui dividendi convenzionale (5%) e quella più favorevole applicata a società UE (1,2%).
    • Motivazione: Violazione del principio di libera circolazione dei capitali (art. 63 TFUE).

    2. Il Caso

    • Società coinvolta: Società americana con partecipazione in una società italiana.
    • Fatti:
      • Nel 2018 ha percepito dividendi con ritenuta del 5% (art. 10, co. 2, lett. a, Convenzione ITA-USA).
      • Ha contestato la mancata applicazione dell’aliquota ridotta dell’1,2% (art. 27, co. 3-ter, DPR 600/1973).
    • Argomentazione della società americana:
      • Disparità di trattamento tra società extra-UE e UE/SEE.
      • Violazione dell’art. 63 TFUE sulla libera circolazione dei capitali.
    • Replica dell’Agenzia delle Entrate:
      • Soggetti residenti e non residenti non sono equiparabili.
      • La società ricorrente non era beneficiario effettivo dei dividendi.

    3. Decisione della CGT

    • Accoglimento del ricorso: Diritto al rimborso della maggiore ritenuta sui dividendi subita.
    • Precedente richiamato: Cass. n. 21481/2022 su fondi d’investimento extra-UE.
    • Principio confermato: Applicabilità dell’aliquota ridotta (1,2%) anche a soggetti residenti in paesi terzi, in base all’art. 63 TFUE.

    4. Orientamento della Corte di Giustizia UE

    • Restrizioni ai movimenti di capitali vietate se dissuadono investimenti transfrontalieri.
    • Eccezioni ex art. 65 TFUE ammesse solo se non discriminatorie o restrittive in modo occulto.
    • Conclusione: La discriminazione verso la società americana viola il principio di non discriminazione e la libera circolazione dei capitali.

    5. Beneficiario Effettivo e Implicazioni Future

    • La CGT ha riconosciuto che la società americana era beneficiario effettivo dei dividendi.
    • La sentenza segue altre pronunce della CGUE sull’interpretazione conforme ai principi UE.
    • Possibili sviluppi: Nuove pronunce potrebbero estendere il rimborso ad altre società extra-UE (es. USA, UK) per dividendi distribuiti negli ultimi anni.
  • Cessione di partecipazioni e trasferimento di residenza

    Cessione di partecipazioni e trasferimento di residenza

    Nell’ambito delle Convenzioni Contro le Doppie Imposizioni (CDI), il trattamento fiscale delle plusvalenze da cessione di partecipazioni è regolato dall’articolo 13 del modello OCSE. Questo articolo stabilisce criteri di territorialità specifici, differenziando le modalità di imposizione a seconda della natura dei beni coinvolti.

    Regole generali

    In particolare, il principio di tassazione varia in base alla tipologia di asset oggetto della plusvalenza. Tra le principali categorie disciplinate rientrano:

    • Beni immobili, per i quali il diritto di tassazione spetta generalmente allo Stato in cui il bene è situato;
    • Beni mobili appartenenti a una stabile organizzazione, tassati nello Stato in cui la stabile organizzazione è localizzata;
    • Navi e aeromobili utilizzati nel traffico internazionale, che seguono regole particolari in base alla giurisdizione dell’impresa che li gestisce;
    • Altri beni, per i quali l’imposizione dipende dalle disposizioni specifiche previste dalle singole convenzioni.

    Queste distinzioni riflettono la volontà di bilanciare gli interessi fiscali degli Stati coinvolti, evitando fenomeni di doppia imposizione o doppia non imposizione.

    Per quanto riguarda la cessione di partecipazioni, la regola generale prevede la tassazione esclusiva della plusvalenza nello stato di residenza del cedente.

    Cessione di partecipazioni con contestuale trasferimento di residenza

    Tuttavia, alcune Convenzioni includono clausole che consentono l’imposizione anche nello Stato nel quale ha la residenza la società ceduta, a condizione che il cedente, residente nell’altro Stato, sia stato residente dello stesso Stato della società ceduta in un periodo immediatamente anteriore al trasferimento delle azioni o quote, generalmente fissato in 5 anni.

    Queste clausole sono state introdotte per impedire che un individuo, dopo aver trasferito la propria residenza fiscale in un altro Stato—spesso con una tassazione più favorevole—venda immediatamente le proprie partecipazioni in una società situata nel Paese di origine, ottenendo così una plusvalenza che sarebbe tassata esclusivamente nel nuovo Stato di residenza. Al contrario, la loro applicazione consente ai due Stati di esercitare un potere impositivo concorrente, con l’obiettivo di disincentivare trasferimenti di residenza temporanei o meramente strumentali.

    Un esempio piuttosto attuale, in ragione del possibile trasferimento di molti ex-non-dom dal Regno Unito all’Italia, è proprio la convenzione tra questi due paesi, che include una clausola che consente di assoggettare a imposta la plusvalenza, se il cedente è stato residente nel paese della fonte nei 5 anni precedenti l’alienazione e la plusvalenza non è soggetta ad imposta dello stato della residenza del cedente.

    Articolo 13

    Utili di capitale

    1. (…)
    2. (…)
    3. (…)
    4. Gli utili derivanti dalla alienazione di ogni altro bene diverso da quelli menzionati nei paragrafi precedenti del presente articolo sono imponibili soltanto nello Stato contraente di cui l’alienante è residente.
    5. Le disposizioni del paragrafo 4 del presente articolo non pregiudicano il diritto di uno Stato contraente di prelevare, conformemente alla propria legislazione, una imposta sugli utili, derivanti dalla alienazione di un qualsiasi bene, realizzati da una persona fisica che:
    6. è residente dell’altro Stato contraente; e
    7. è stata residente del predetto primo Stato contraente in un qualsiasi momento nel corso dei cinque anni immediatamente precedenti l’alienazione del bene; e
    8. non è soggetta ad imposta per tali utili nell’altro Stato contraente.

    Simili clausole riconoscono quindi all’ex Stato di residenza la facoltà di tassare determinati redditi secondo la propria normativa interna. Tuttavia, questo potere non è assoluto, ma incontra dei limiti. In particolare, esso viene meno quando la normativa interna esclude la tassazione dei non residenti, come avviene nella maggior parte dei casi per le partecipazioni non qualificate.

    Diversamente, la tassazione può essere applicata quando la normativa interna non prevede specifiche esenzioni per i non residenti. Questo è il caso delle partecipazioni qualificate, per le quali il potere impositivo dello Stato di origine è generalmente riconosciuto.

    Regime dei neo domiciliati

    Un’impostazione analoga è stata adottata dal legislatore nazionale nell’articolo 24-bis del TUIR, che disciplina il regime dei neo domiciliati. In particolare, il comma 1 esclude dall’imposta forfettaria di 200.000 euro le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate nei primi cinque anni di applicazione del regime. Di conseguenza, tali plusvalenze restano soggette alla normale tassazione prevista dalla normativa vigente.

  • Lavoro dipendente svolto all’estero: come è tassato in Italia?

    Lavoro dipendente svolto all’estero: come è tassato in Italia?

    Dopo aver introdotto quando il reddito da lavoro dipendente svolto all’estero è tassato in Italia, nel presente contributo ci si concentra sulle modalità di imposizione, con un focus particolare sulle retribuzioni convenzionali, rimandando ad uno specifico articolo per i lavoratori frontalieri.

    I redditi da lavoro dipendente di fonte estera risultano imponibili in Italia secondo tre modalità alternative:

    • regime ordinario;
    • tassazione secondo le retribuzioni convenzionali;
    • tassazione secondo il regime dei lavoratori frontalieri.

    Regime ordinario

    È la casistica più semplice, nella quale occorre rideterminare il reddito estero secondo la normativa fiscale italiana, contenuta nell’art 51 co. 1 – 8 del TUIR.

    L’imposta estera da detrarre da quella italiana ai sensi dell’art. 165 del TUIR dovrebbe essere assunta in misura piena. Il credito per le imposte pagate all’estero verrà trattato in un articolo a parte.

    Retribuzioni convenzionali

    Se il reddito da lavoro dipendente è svolto all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto lavorativo, per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi, è applicabile il regime delle retribuzioni convenzionali, ex art. 51 co. 8-bis del TUIR, che consente di assumere quale base imponibile italiana non le somme e i valori effettivamente percepiti ma alcun importi determinati in modo forfetario in base al settore di attività.

    Per poter applicare le retribuzioni convenzionali devono essere rispettate una serie di condizioni:

    • il lavoratore continui a risultare fiscalmente residente in Italia ex art. 2 del TUIR;
    • il lavoro dipendente sia prestato all’estero;
    • l’attività di lavoro dipendente sia svolta all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro;
    • l’attività di lavoro dipendente sia svolta all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi.

    In merito alla continuità ed esclusività si evidenzia quanto segue:

    • che il contratto di lavoro deve prevedere la prestazione in via esclusiva del lavoro all’estero, con conseguente esclusione dei dipendenti in trasferta (C.M. 16.11.2000 n. 207/E); 
    • che la prestazione lavorativa deve materialmente essere svolta integralmente all’estero (ris. Agenzia Entrate 11.9.2007 n. 245);
    • che il regime in esame può trovare applicazione anche se il datore di lavoro è estero (circ. Agenzia Entrate 21.5.2014 n. 11);
    • che non impedisce l’applicazione del regime il fatto che la prestazione sia svolta in più Stati (consulenza giuridica DRE Emilia Romagna 13.5.2019 n. 909-4/2019).

    Qualora, invece, il lavoratore dipendente presti la propria attività lavorativa all’estero per meno di 183 giorni nell’arco di 12 mesi, la tassazione è realizzata in via ordinaria sulla base imponibile la retribuzione effettivamente corrisposta.

    Se ricorrono le condizioni per l’applicazione delle retribuzioni convenzionali, ai fini della determinazione della base imponibile relativa all’attività prestata all’estero si deve fare riferimento ai parametri definiti annualmente con apposito DM. In tal caso, il sostituto d’imposta, se presente, dovrà effettuare le ritenute sulla base delle retribuzioni convenzionali, salvo poi operare le necessarie rettifiche in sede di conguaglio, qualora vengano meno i requisiti del co. 8-bis.

    Le retribuzioni sono contenute in apposite tabelle allegate ai DM, determinate in base ai settori produttivi, in cui le retribuzioni sono fissate a seconda delle qualifiche e delle fasce retributive. Il regime non può essere applicato se l’attività svolta all’estero non rientra tra quelle previste dai DM

    Nel caso in cui le retribuzioni convenzionali dovessero superare quelle effettive, non sarebbe possibile assoggettare a tassazione il reddito effettivamente prodotto (contra C.T. Prov. Macerata 3.3.2015 n. 67/2/15).

    Nel caso in cui il reddito da lavoro dipendente svolto prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente. Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella ris. 8.7.2013 n. 48 e nella circ. 5.3.2015 n. 9, in questi casi occorre “riparametrare” l’imposta estera in base al rapporto tra la retribuzione convenzionale e la retribuzione che sarebbe stata tassabile in Italia in via ordinaria.

    Lavoratori frontalieri

    I lavoratori frontalieri possono beneficiare di disposizioni agevolative sia da parte di norme speciali interne, che prevedono un’apposita franchigia, pari a 10.000 euro di reddito, non assoggettato ad imposta, sia da parte di accordi internazionali, che riservano il beneficio della tassazione esclusiva nello Stato dove è svolta l’attività o nello Stato di residenza.

    Sono tre i requisiti di fondo per definire i frontalieri:

    • la residenza fiscale italiana del lavoratore;
    • il fatto che il lavoro sia prestato nello Stato estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto (e non si tratti di mere attività occasionali prestate oltreconfine);
    • il fatto che il lavoro sia prestato in zone di frontiera, o in Stati limitrofi.

    Pur non essendo un requisito previsto dalla norma, l’Agenzia delle Entrate, nella circ. 15.1.2003 n. 2 prevede che il regime dei frontalieri sia riservato ai soggetti che quotidianamente si recano all’estero per svolgere la prestazione lavorativa.

    Il regime è, quindi, precluso a quei soggetti che, pur rispettando gli altri requisiti, soggiornano stabilmente nella zona di frontiera dello Stato estero dove è svolta l’attività lavorativa, ai quali, invece, possono essere applicate le retribuzioni convenzionali, qualora nel ricorrano tutti i presupposti di legge.

    Per maggiori informazioni sul lavoro dipendente svolto all’estero da parte dei frontalieri e su particolari accordi internazionali, si rimanda allo specifico contenuto.

  • Lavoro dipendente svolto all’estero: quando è tassato in Italia?

    Lavoro dipendente svolto all’estero: quando è tassato in Italia?

    Lavoro dipendente svolto allestero: quando è tassato in Italia?

    Lavorare all’estero non significa automaticamente essere esenti da obblighi fiscali in Italia. In questo articolo chiariremo in quali casi il reddito da lavoro dipendente prodotto allestero è tassabile in Italia, in base alle Convenzioni contro le doppie imposizioni e alla normativa domestica,

    Chi è residente in Italia ma lavora allestero deve pagare le tasse in Italia?

    Sì. Il principio della worldwide taxation, di cui all’art. 3 del TUIR, impone ai residenti fiscali italiani di dichiarare e tassare in Italia tutti i redditi ovunque prodotti, compresi quelli derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero. Per quanto riguarda i redditi di lavoro dipendente svolto all’estero da soggetti residenti in Italia, le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia si rifanno, salvo poche eccezioni, alla disciplina contenuta nell’art. 15 del modello OCSE.

    Quali sono i redditi da lavoro dipendente?

    L’art. 15 del modello OCSE non fornisce una definizione dei redditi di lavoro dipendente; è quindi necessario fare rifermento alle singole legislazioni interne degli Stati contraenti (per l’Italia, gli artt. 49, 50, 51 e 52 del TUIR, in materia di redditi di lavoro dipendente e di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente).

    Secondo l’Agenzia delle Entrate, seguono i principi dell’art. 15 del modello OCSE e quindi sono considerati redditi da lavoro dipendente, anche:

    • il TFR, salvo che le Convenzioni lo disciplinino in modo espresso (es. Convenzione Italia – Stati Uniti, che lo assimila alle pensioni);
    • l’indennità sostitutiva del preavviso;
    • le prestazioni erogate dai fondi pensione aziendali;
    • le somme corrisposte a titolo di incentivo all’esodo;
    • le somme corrisposte per la risoluzione del rapporto di lavoro;
    • le somme corrisposte in esito ad una conciliazione giudiziale per mancata stipula del contratto di lavoro;
    • i bonus corrisposti per l’attività lavorativa.

    Quando il reddito da lavoro svolto all’estero è tassato anche nello Stato della fonte?

    L’art. 15 paragrafo 1 del modello OCSE stabilisce la regola generale in base alla quale:

    • la tassazione avviene nello Stato nel quale è effettivamente svolta l’attività di lavoro dipendente;
    • tuttavia, se l’attività è svolta in uno Stato diverso da quello di residenza, si verifica un fenomeno di tassazione concorrente nei due Stati.

    Quando il reddito da lavoro svolto all’estero è tassato solamente in Italia?

    In deroga a quanto appena illustrato, il paragrafo 2 dell’art. 15 del modello OCSE prevede, a determinate condizioni, l’esenzione da tassazione nello Stato dove è svolta l’attività di lavoro dipendente e la tassazione nel solo Stato di residenza del lavoratore.

    La tassazione esclusiva nello Stato di residenza del lavoratore è subordinata al verificarsi di tutte le seguenti condizioni:

    • il beneficiario soggiorni nello Stato in cui esercita l’attività di lavoro dipendente per un periodo che non oltrepassa in totale 183 giorni nel corso di un periodo di 12 mesi, che inizi o che termini nell’anno fiscale considerato;
    • le remunerazioni siano pagate da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente nello Stato dove viene svolta l’attività di lavoro dipendente;
    • l’onere delle remunerazioni non sia sostenuto da una stabile organizzazione, o da una base fissa, di cui il datore di lavoro dispone nello Stato in cui è svolta l’attività.

    Come sono calcolati i giorni di lavoro prestato all’estero?

    In base alla C.M. 17.8.96 n. 201/E, i giorni di presenza fisica all’estero includono il giorno di arrivo e quello di partenza, i week end e i giorni festivi se trascorsi all’estero, i congedi di malattia. Il calcolo deve essere realizzato nel corso di un periodo di 12 mesi che inizi o che termini nel periodo d’imposta.

    Cosa succede se il reddito da lavoro estero è tassato anche in Italia?

    In caso di doppia imposizione, il contribuente può beneficiare del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero, fino a concorrenza dell’imposta italiana corrispondente, secondo le regole previste dall’art. 165 del TUIR.

    Se nello stato estero sono state prelevate imposte in presenza di una Convenzione che, invece, prevede la tassazione esclusiva in Italia, le medesime non possono essere recuperate con il meccanismo dell’art. 165 del TUIR e devono, quindi, essere richieste a rimborso allo Stato estero.

    Il reddito da lavoro allestero va dichiarato in Italia?

    Sì. Anche se il reddito è stato già tassato allestero, deve comunque essere dichiarato in Italia. Va indicato nel modello Redditi e, in presenza di attività patrimoniali o finanziarie estere, va compilato anche il quadro RW per il monitoraggio fiscale.

    Circa le modalità di tassazione e dichiarazione si rimanda allo specifico contenuto.


  • Dividendi da paradisi fiscali percepiti da persone fisiche: come vengono tassati in Italia?

    Dividendi da paradisi fiscali percepiti da persone fisiche: come vengono tassati in Italia?

    L’articolo chiarisce il regime fiscale applicabile ai dividendi percepiti da persone fisiche non imprenditori residenti in Italia, provenienti da società localizzate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, con riferimento agli articoli 47 e 89 del TUIR, al DPR 600/73 e ad altri rilevanti provvedimenti.

    Come sono tassati i dividendi da società estere residenti in paesi a fiscalità privilegiata?

    Ai sensi dell’art. 47, comma 4, e dell’art. 89, comma 3, del TUIR, i dividendi percepiti da persone fisiche residenti in Italia, provenienti da società situate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, sono integralmente imponibili ai fini IRPEF, a prescindere dalla natura della partecipazione (qualificata o non qualificata).

    Quando si considera che i dividendi provengano da una giurisdizione a fiscalità privilegiata?

    Come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 35/2016, la provenienza da paesi con regimi fiscali privilegiati è applicabile:

    • per le partecipazioni dirette in imprese situate in paesi con un regime fiscale privilegiato, anche se la quota di partecipazione non garantisce il controllo;
    • per le partecipazioni indirette in imprese situate in paesi con regimi fiscali privilegiati, a condizione che siano detenute, anche in misura minoritaria, da società controllate dalla società residente in Italia.

    Quando un regime fiscale è considerato “privilegiato”?

    Secondo l’art. 47-bis, comma 1, del TUIR, i regimi fiscali esteri sono considerati privilegiati quando:

    • per partecipazioni di controllo (così come definito dall’art. 167, comma 2 del TUIR), il livello di tassazione effettiva è inferiore del 50% a quello italiano;
    • per partecipazioni non di controllo, vale lo stesso criterio ma riferito alla tassazione nominale.

    In quest’ultimo caso, vanno considerati anche i regimi speciali (free zones, microimprese, ruling, agevolazioni temporanee).

    Quali sono tipicamente i paesi a fiscalità privilegiata?

    Esempi tipici di giurisdizione da cui possono provenire dividendi di questo tipo sono gli Emirati Arabi, Hong Kong, la Bulgaria, Panama, ma il calcolo deve essere realizzato ogni qualvolta il dividendo sia proveniente da una giurisdizione extra UE o extra SEE.

    I Paesi UE e SEE sono considerati a fiscalità privilegiata?

    No. A differenza di quanto avviene per il regime delle CFC, anche se offrono regimi fiscali favorevoli (es. la “two tier structure” a Malta), non sono mai considerati paradisi fiscali ai sensi dell’art. 47-bis del TUIR.

    E se la società estera è quotata?

    In questo caso, i dividendi sono soggetti a una ritenuta a titolo d’imposta del 26% sull’intero ammontare percepito, come previsto dall’art. 27, comma 4, lett. b, secondo periodo, del DPR 600/1973.

    Quando si può disapplicare la disciplina della tassazione integrale?

    Secondo l’art. 47-bis, comma 2, del TUIR, si può disapplicare il regime di tassazione integrale  in due casi:

    • se l’entità estera svolge un’attività economica effettiva (personale, mezzi, locali);
    • se si dimostra che la partecipazione non ha avuto l’effetto di localizzare redditi in Stati a fiscalità privilegiata.

    Ci sono eccezioni automatiche alla tassazione integrale?

    Sì. I dividendi non sono interamente tassati se:

    • sono già stati imputati al socio ai sensi dell’art. 167 del TUIR (CFC);
    • è stata presentata un’istanza di interpello con la quale il contribuente dimostra l’assenza di localizzazione artificiosa dei redditi in territori a fiscalità privilegiata (art. 47-bis, comma 2, lett. b).

    Come si ottiene la disapplicazione della tassazione integrale?

    Ci sono due modalità:

    • Interpello preventivo: da presentare prima della dichiarazione dei redditi;
    • Controllo successivo: indicazione obbligatoria nel modello Redditi PF, rigo RL1, con codice specifico a seconda della motivazione.

    È ammesso il credito per le imposte estere?

    Sì. Secondo l’art. 165 del TUIR e la Risoluzione 147/E/2007, il credito d’imposta è ammesso anche per dividendi da paradisi fiscali, senza restrizioni legate al livello di tassazione del Paese estero o alla presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni.

    Che cos’è il credito d’imposta indiretto?

    Ai sensi dell’art. 47, comma 4, del TUIR, il contribuente può richiedere il credito d’imposta indiretto per le imposte pagate dalla società estera, a condizione che dimostri l’effettività dell’attività d’impresa, come richiesto dall’art. 47-bis, comma 2, lett. a.

    Conclusioni

    La tassazione dei dividendi provenienti da paradisi fiscali è severa, ma sono previste esimenti e strumenti di tutela. È cruciale gestire correttamente la documentazione e gli interpelli, per evitare la doppia imposizione e sfruttare i crediti spettanti.

  • Dividendi di fonte estera: come sono tassati in Italia per le persone fisiche residenti?

    Dividendi di fonte estera: come sono tassati in Italia per le persone fisiche residenti?

    I dividendi percepiti da ocietà estere sono soggetti a tassazione sia nel paese d’origine sia in Italia. In questo articolo, analizziamo le regole fiscali applicabili ai dividendi esteri percepiti da persone fisiche residenti in Italia, considerando le convenzioni contro le doppie imposizioni e la normativa domestica.

    Qual è il principio generale di tassazione per i residenti in Italia?

    Le persone fisiche residenti in Italia sono soggette al principio della worldwide taxation, secondo cui devono dichiarare e tassare in Italia tutti i redditi ovunque prodotti, inclusi i dividendi di fonte estera, assoggettati, di regola, ad una ritenuta a titolo di imposta del 26% ex art.  27, c. 4, del DPR 600/73 . Tale modalità di tassazione viene meno per i dividendi che provengono da paesi a fiscalità privilegiata, dei quali parleremo in uno specifico articolo.

    Come sono tassati i dividendi esteri percepiti tramite intermediario residente?

    Se i dividendi esteri sono percepiti attraverso un intermediario finanziario residente in Italia (es. banca o fiduciaria), la ritenuta si applica sul cosiddetto “netto frontiera” , ovvero sul dividendo al netto delle ritenute subite nello Stato estero.. In questa casistica l’importo non deve essere dichiarato nel Modello Redditi.

    E se i dividendi esteri sono percepiti senza l’intervento di un intermediario residente?

    In assenza di un intermediario residente, ad esempio quando l’importo viene accreditato direttamente su un conto corrente estero, il contribuente deve dichiarare i dividendi nel quadro RM della dichiarazione dei redditi e versare un’imposta sostitutiva del 26% sull’importo lordo del dividendo percepito.. L’impostazione dell’Agenzia delle Entrate, che considera il dividendo lordo come base imponibile per l’imposta sostitutiva, ha sollevato diverse critiche in dottrina. In particolare, si evidenzia una potenziale violazione dell’articolo 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che vieta restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri.

    È possibile evitare la doppia imposizione sui dividendi esteri?

    Sì, grazie alle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con numerosi paesi, è possibile ridurre o eliminare la doppia tassazione. Tali convenzioni stabiliscono le aliquote massime di ritenuta alla fonte applicabili e le modalità per ottenere il credito d’imposta in Italia.

    Quando si ha diritto al credito d’imposta per le imposte pagate all’estero?

    Il credito d’imposta è riconosciuto solo se:

    • Il dividendo estero è stato tassato in Italia in modo ordinario, cioè concorre alla formazione del reddito complessivo;
    • L’imposta estera è stata effettivamente pagata e non è rimborsabile.

    Ai sensi della normativa domestica, non è riconosciuto il credito d’imposta se il dividendo è stato tassato in Italia con ritenuta a titolo d’imposta o imposta sostitutiva.

    Come si calcola l’imposta italiana sui dividendi esteri?

    • Con intermediario residente: si applica la ritenuta del 26% sul “netto frontiera”.
    • Senza intermediario residente: si applica l’imposta sostitutiva del 26% sul valore lordo percepito.”.

    Giurisprudenza e precedenti

    La più recente giurisprudenzasta consolidando l’orientamento secondo cui, qualora in base alle convenzioni l’assoggettamento a imposizione in Italia con imposta sostitutiva avvenga obbligatoriamente, l’imposta estera si deve considerare detraibile, superando l’impossibilità di fruire del credito d’imposta in caso di reddito che non concorrono alla formazione della base imponibile IRPEF (Cass. 8.11.2024 n. 28801; Cass. 1.9.2022 n. 25698; C.G.T. I Siena 11.4.2024 n. 68/1/24; C.G.T. I Milano 19.7.2024 n. 3184/13/24).

    Alla luce di questo orientamento, il consiglio è quello di presentare un’istanza di rimborso dell’imposta estera, come avvenuto nei casi oggetto di sentenza, in attesa di eventuali modifiche normative che possano chiarire ulteriormente la disciplina in materia.

    Questo principio può essere esteso anche ai rapporti disciplinati da trattati simili a quello tra Italia e Stati Uniti, come ad esempio quelli stipulati con Francia, Regno Unito e Germania.

    Per il credito relativo alle imposte estere detratte dall’imposta sostitutiva sui dividendi, si rimanda allo specifico articolo.

    Esempio di Tassazione

    Un esempio pratico aiuta a comprendere meglio la disparità tra i regimi di tassazione. Consideriamo un dividendo lordo di 1.000.000 con una ritenuta estera del 15% (150.000):

    • Percezione diretta: L’imposta sostitutiva del 26% si applica sull’importo lordo, pari a 260.000, portando l’onere fiscale totale a 410.000 e il dividendo netto a 590.000.
    • Percezione tramite intermediario: La ritenuta si applica sul “netto frontiera” di 850.000, risultando in un’imposta di 221.000. L’onere complessivo è di 371.000, con un dividendo netto di 629.000.

    Conclusioni e Implicazioni Fiscali

    La disparità nei regimi di tassazione può comportare oneri aggiuntivi per i contribuenti che percepiscono dividendi direttamente dall’estero. Inoltre, la possibilità di ottenere un rimborso per la differenza d’imposta rimane limitata, come evidenziato dalla giurisprudenza recente.

    In tale contesto, è essenziale valutare attentamente il regime fiscale applicabile e considerare l’assistenza di un consulente per ottimizzare la gestione delle imposte sui dividendi esteri.


  • Società di persone estere e benefici convenzionali

    Società di persone estere e benefici convenzionali

    Secondo quanto affermato nella risposta a interpello n. 17 del 12 gennaio 2022, i dividendi distribuiti da una società di capitali italiana a una società di persone estere (nello specifico una partnership trasparente costituita secondo il diritto inglese) non possono beneficiare direttamente delle agevolazioni previste dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito.

    Le motivazioni principali risiedono nella natura giuridica della società di persone estere:

    • La partnership, non essendo soggetto passivo d’imposta autonomo, non rientra tra le “persone residenti” definite dal trattato bilaterale.
    • Tuttavia, i singoli partner della partnership possono accedere ai benefici della Convenzione con riferimento alla loro quota di reddito, a condizione che siano soggetti a imposizione nel loro Stato di residenza (liable to tax) e siano i beneficiari effettivi dei dividendi.

    Lo stesso principio è stato ribadito in precedenti interpelli, come il n. 258 del 2021, dove si è chiarito che i dividendi di fonte italiana pagati a un fondo di investimento trasparente svizzero, partecipato da una fondazione svizzera esente da imposta, possono beneficiare delle riduzioni previste dall’art. 10 della Convenzione Italia-Svizzera.

    Riferimenti Normativi e Modello OCSE 2017

    Le regole relative alle partnership estere trovano una codifica specifica nell’art. 1, paragrafo 2, del modello OCSE 2017. Sebbene tale previsione non sia presente nelle Convenzioni firmate dall’Italia (fatti salvi alcuni casi particolari, come nel caso della Convenzione con gli Stati Uniti), essa si basa sui principi delineati nel Rapporto OCSE del 1999 intitolato The Application of the OECD Model Tax Convention to Partnerships. Questo rapporto è stato recepito nelle linee guida del Commentario all’art. 1 del modello OCSE, rendendolo applicabile anche ai rapporti con Stati con cui l’Italia ha stipulato una Convenzione fiscale.

    Principi Fondamentali del Modello OCSE

    • Le Convenzioni si applicano, secondo l’art. 1, paragrafo 1, del modello OCSE, alle “persone” che sono residenti di uno Stato contraente.
    • L’espressione “residente di uno Stato contraente” si riferisce, ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, del modello, alle persone soggette a imposizione nello Stato di residenza (liable to tax).

    Le società di persone e le partnership, pur essendo considerate “persone” secondo il Commentario all’art. 3 (§ 2), non sono considerate “residenti” ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, se sono entità trasparenti, ovvero non soggette a tassazione autonoma ma trasparenti rispetto ai partner.

    Trattamento Fiscale delle Partnership

    Il Commentario al modello OCSE stabilisce le seguenti regole:

    1. Partnership tassate come società di capitali: se la partnership è soggetta a tassazione autonoma, essa può essere considerata “residente di uno Stato contraente” ai fini dell’art. 4. In tal caso, la Convenzione tra lo Stato della fonte del reddito e lo Stato di residenza della partnership si applica direttamente alla partnership stessa.
    2. Partnership trattate come entità trasparenti: se la partnership è considerata trasparente ai fini fiscali, i benefici convenzionali spettano ai singoli partner. Questi ultimi, per usufruire delle agevolazioni, devono essere qualificati come “persone residenti di uno Stato contraente” ai sensi della Convenzione.

    Conclusioni

    La corretta applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni in presenza di partnership estere richiede un’analisi approfondita della natura giuridica e fiscale della stessa. Nel caso di entità trasparenti, l’attenzione si sposta sui partner, che devono soddisfare i requisiti di residenza fiscale e di effettiva imposizione per accedere ai benefici convenzionali per i quali si rimanda allo specifico articolo.