Autore: Zeno Brusa

  • Lavoro dipendente svolto all’estero: quando è tassato in Italia?

    Lavoro dipendente svolto all’estero: quando è tassato in Italia?

    Lavoro dipendente svolto allestero: quando è tassato in Italia?

    Lavorare all’estero non significa automaticamente essere esenti da obblighi fiscali in Italia. In questo articolo chiariremo in quali casi il reddito da lavoro dipendente prodotto allestero è tassabile in Italia, in base alle Convenzioni contro le doppie imposizioni e alla normativa domestica,

    Chi è residente in Italia ma lavora allestero deve pagare le tasse in Italia?

    Sì. Il principio della worldwide taxation, di cui all’art. 3 del TUIR, impone ai residenti fiscali italiani di dichiarare e tassare in Italia tutti i redditi ovunque prodotti, compresi quelli derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero. Per quanto riguarda i redditi di lavoro dipendente svolto all’estero da soggetti residenti in Italia, le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia si rifanno, salvo poche eccezioni, alla disciplina contenuta nell’art. 15 del modello OCSE.

    Quali sono i redditi da lavoro dipendente?

    L’art. 15 del modello OCSE non fornisce una definizione dei redditi di lavoro dipendente; è quindi necessario fare rifermento alle singole legislazioni interne degli Stati contraenti (per l’Italia, gli artt. 49, 50, 51 e 52 del TUIR, in materia di redditi di lavoro dipendente e di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente).

    Secondo l’Agenzia delle Entrate, seguono i principi dell’art. 15 del modello OCSE e quindi sono considerati redditi da lavoro dipendente, anche:

    • il TFR, salvo che le Convenzioni lo disciplinino in modo espresso (es. Convenzione Italia – Stati Uniti, che lo assimila alle pensioni);
    • l’indennità sostitutiva del preavviso;
    • le prestazioni erogate dai fondi pensione aziendali;
    • le somme corrisposte a titolo di incentivo all’esodo;
    • le somme corrisposte per la risoluzione del rapporto di lavoro;
    • le somme corrisposte in esito ad una conciliazione giudiziale per mancata stipula del contratto di lavoro;
    • i bonus corrisposti per l’attività lavorativa.

    Quando il reddito da lavoro svolto all’estero è tassato anche nello Stato della fonte?

    L’art. 15 paragrafo 1 del modello OCSE stabilisce la regola generale in base alla quale:

    • la tassazione avviene nello Stato nel quale è effettivamente svolta l’attività di lavoro dipendente;
    • tuttavia, se l’attività è svolta in uno Stato diverso da quello di residenza, si verifica un fenomeno di tassazione concorrente nei due Stati.

    Quando il reddito da lavoro svolto all’estero è tassato solamente in Italia?

    In deroga a quanto appena illustrato, il paragrafo 2 dell’art. 15 del modello OCSE prevede, a determinate condizioni, l’esenzione da tassazione nello Stato dove è svolta l’attività di lavoro dipendente e la tassazione nel solo Stato di residenza del lavoratore.

    La tassazione esclusiva nello Stato di residenza del lavoratore è subordinata al verificarsi di tutte le seguenti condizioni:

    • il beneficiario soggiorni nello Stato in cui esercita l’attività di lavoro dipendente per un periodo che non oltrepassa in totale 183 giorni nel corso di un periodo di 12 mesi, che inizi o che termini nell’anno fiscale considerato;
    • le remunerazioni siano pagate da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente nello Stato dove viene svolta l’attività di lavoro dipendente;
    • l’onere delle remunerazioni non sia sostenuto da una stabile organizzazione, o da una base fissa, di cui il datore di lavoro dispone nello Stato in cui è svolta l’attività.

    Come sono calcolati i giorni di lavoro prestato all’estero?

    In base alla C.M. 17.8.96 n. 201/E, i giorni di presenza fisica all’estero includono il giorno di arrivo e quello di partenza, i week end e i giorni festivi se trascorsi all’estero, i congedi di malattia. Il calcolo deve essere realizzato nel corso di un periodo di 12 mesi che inizi o che termini nel periodo d’imposta.

    Cosa succede se il reddito da lavoro estero è tassato anche in Italia?

    In caso di doppia imposizione, il contribuente può beneficiare del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero, fino a concorrenza dell’imposta italiana corrispondente, secondo le regole previste dall’art. 165 del TUIR.

    Se nello stato estero sono state prelevate imposte in presenza di una Convenzione che, invece, prevede la tassazione esclusiva in Italia, le medesime non possono essere recuperate con il meccanismo dell’art. 165 del TUIR e devono, quindi, essere richieste a rimborso allo Stato estero.

    Il reddito da lavoro allestero va dichiarato in Italia?

    Sì. Anche se il reddito è stato già tassato allestero, deve comunque essere dichiarato in Italia. Va indicato nel modello Redditi e, in presenza di attività patrimoniali o finanziarie estere, va compilato anche il quadro RW per il monitoraggio fiscale.

    Circa le modalità di tassazione e dichiarazione si rimanda allo specifico contenuto.


  • Dividendi da paradisi fiscali percepiti da persone fisiche: come vengono tassati in Italia?

    Dividendi da paradisi fiscali percepiti da persone fisiche: come vengono tassati in Italia?

    L’articolo chiarisce il regime fiscale applicabile ai dividendi percepiti da persone fisiche non imprenditori residenti in Italia, provenienti da società localizzate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, con riferimento agli articoli 47 e 89 del TUIR, al DPR 600/73 e ad altri rilevanti provvedimenti.

    Come sono tassati i dividendi da società estere residenti in paesi a fiscalità privilegiata?

    Ai sensi dell’art. 47, comma 4, e dell’art. 89, comma 3, del TUIR, i dividendi percepiti da persone fisiche residenti in Italia, provenienti da società situate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, sono integralmente imponibili ai fini IRPEF, a prescindere dalla natura della partecipazione (qualificata o non qualificata).

    Quando si considera che i dividendi provengano da una giurisdizione a fiscalità privilegiata?

    Come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 35/2016, la provenienza da paesi con regimi fiscali privilegiati è applicabile:

    • per le partecipazioni dirette in imprese situate in paesi con un regime fiscale privilegiato, anche se la quota di partecipazione non garantisce il controllo;
    • per le partecipazioni indirette in imprese situate in paesi con regimi fiscali privilegiati, a condizione che siano detenute, anche in misura minoritaria, da società controllate dalla società residente in Italia.

    Quando un regime fiscale è considerato “privilegiato”?

    Secondo l’art. 47-bis, comma 1, del TUIR, i regimi fiscali esteri sono considerati privilegiati quando:

    • per partecipazioni di controllo (così come definito dall’art. 167, comma 2 del TUIR), il livello di tassazione effettiva è inferiore del 50% a quello italiano;
    • per partecipazioni non di controllo, vale lo stesso criterio ma riferito alla tassazione nominale.

    In quest’ultimo caso, vanno considerati anche i regimi speciali (free zones, microimprese, ruling, agevolazioni temporanee).

    Quali sono tipicamente i paesi a fiscalità privilegiata?

    Esempi tipici di giurisdizione da cui possono provenire dividendi di questo tipo sono gli Emirati Arabi, Hong Kong, la Bulgaria, Panama, ma il calcolo deve essere realizzato ogni qualvolta il dividendo sia proveniente da una giurisdizione extra UE o extra SEE.

    I Paesi UE e SEE sono considerati a fiscalità privilegiata?

    No. A differenza di quanto avviene per il regime delle CFC, anche se offrono regimi fiscali favorevoli (es. la “two tier structure” a Malta), non sono mai considerati paradisi fiscali ai sensi dell’art. 47-bis del TUIR.

    E se la società estera è quotata?

    In questo caso, i dividendi sono soggetti a una ritenuta a titolo d’imposta del 26% sull’intero ammontare percepito, come previsto dall’art. 27, comma 4, lett. b, secondo periodo, del DPR 600/1973.

    Quando si può disapplicare la disciplina della tassazione integrale?

    Secondo l’art. 47-bis, comma 2, del TUIR, si può disapplicare il regime di tassazione integrale  in due casi:

    • se l’entità estera svolge un’attività economica effettiva (personale, mezzi, locali);
    • se si dimostra che la partecipazione non ha avuto l’effetto di localizzare redditi in Stati a fiscalità privilegiata.

    Ci sono eccezioni automatiche alla tassazione integrale?

    Sì. I dividendi non sono interamente tassati se:

    • sono già stati imputati al socio ai sensi dell’art. 167 del TUIR (CFC);
    • è stata presentata un’istanza di interpello con la quale il contribuente dimostra l’assenza di localizzazione artificiosa dei redditi in territori a fiscalità privilegiata (art. 47-bis, comma 2, lett. b).

    Come si ottiene la disapplicazione della tassazione integrale?

    Ci sono due modalità:

    • Interpello preventivo: da presentare prima della dichiarazione dei redditi;
    • Controllo successivo: indicazione obbligatoria nel modello Redditi PF, rigo RL1, con codice specifico a seconda della motivazione.

    È ammesso il credito per le imposte estere?

    Sì. Secondo l’art. 165 del TUIR e la Risoluzione 147/E/2007, il credito d’imposta è ammesso anche per dividendi da paradisi fiscali, senza restrizioni legate al livello di tassazione del Paese estero o alla presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni.

    Che cos’è il credito d’imposta indiretto?

    Ai sensi dell’art. 47, comma 4, del TUIR, il contribuente può richiedere il credito d’imposta indiretto per le imposte pagate dalla società estera, a condizione che dimostri l’effettività dell’attività d’impresa, come richiesto dall’art. 47-bis, comma 2, lett. a.

    Conclusioni

    La tassazione dei dividendi provenienti da paradisi fiscali è severa, ma sono previste esimenti e strumenti di tutela. È cruciale gestire correttamente la documentazione e gli interpelli, per evitare la doppia imposizione e sfruttare i crediti spettanti.

  • Dividendi di fonte estera: come sono tassati in Italia per le persone fisiche residenti?

    Dividendi di fonte estera: come sono tassati in Italia per le persone fisiche residenti?

    I dividendi percepiti da ocietà estere sono soggetti a tassazione sia nel paese d’origine sia in Italia. In questo articolo, analizziamo le regole fiscali applicabili ai dividendi esteri percepiti da persone fisiche residenti in Italia, considerando le convenzioni contro le doppie imposizioni e la normativa domestica.

    Qual è il principio generale di tassazione per i residenti in Italia?

    Le persone fisiche residenti in Italia sono soggette al principio della worldwide taxation, secondo cui devono dichiarare e tassare in Italia tutti i redditi ovunque prodotti, inclusi i dividendi di fonte estera, assoggettati, di regola, ad una ritenuta a titolo di imposta del 26% ex art.  27, c. 4, del DPR 600/73 . Tale modalità di tassazione viene meno per i dividendi che provengono da paesi a fiscalità privilegiata, dei quali parleremo in uno specifico articolo.

    Come sono tassati i dividendi esteri percepiti tramite intermediario residente?

    Se i dividendi esteri sono percepiti attraverso un intermediario finanziario residente in Italia (es. banca o fiduciaria), la ritenuta si applica sul cosiddetto “netto frontiera” , ovvero sul dividendo al netto delle ritenute subite nello Stato estero.. In questa casistica l’importo non deve essere dichiarato nel Modello Redditi.

    E se i dividendi esteri sono percepiti senza l’intervento di un intermediario residente?

    In assenza di un intermediario residente, ad esempio quando l’importo viene accreditato direttamente su un conto corrente estero, il contribuente deve dichiarare i dividendi nel quadro RM della dichiarazione dei redditi e versare un’imposta sostitutiva del 26% sull’importo lordo del dividendo percepito.. L’impostazione dell’Agenzia delle Entrate, che considera il dividendo lordo come base imponibile per l’imposta sostitutiva, ha sollevato diverse critiche in dottrina. In particolare, si evidenzia una potenziale violazione dell’articolo 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che vieta restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri.

    È possibile evitare la doppia imposizione sui dividendi esteri?

    Sì, grazie alle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con numerosi paesi, è possibile ridurre o eliminare la doppia tassazione. Tali convenzioni stabiliscono le aliquote massime di ritenuta alla fonte applicabili e le modalità per ottenere il credito d’imposta in Italia.

    Quando si ha diritto al credito d’imposta per le imposte pagate all’estero?

    Il credito d’imposta è riconosciuto solo se:

    • Il dividendo estero è stato tassato in Italia in modo ordinario, cioè concorre alla formazione del reddito complessivo;
    • L’imposta estera è stata effettivamente pagata e non è rimborsabile.

    Ai sensi della normativa domestica, non è riconosciuto il credito d’imposta se il dividendo è stato tassato in Italia con ritenuta a titolo d’imposta o imposta sostitutiva.

    Come si calcola l’imposta italiana sui dividendi esteri?

    • Con intermediario residente: si applica la ritenuta del 26% sul “netto frontiera”.
    • Senza intermediario residente: si applica l’imposta sostitutiva del 26% sul valore lordo percepito.”.

    Giurisprudenza e precedenti

    La più recente giurisprudenzasta consolidando l’orientamento secondo cui, qualora in base alle convenzioni l’assoggettamento a imposizione in Italia con imposta sostitutiva avvenga obbligatoriamente, l’imposta estera si deve considerare detraibile, superando l’impossibilità di fruire del credito d’imposta in caso di reddito che non concorrono alla formazione della base imponibile IRPEF (Cass. 8.11.2024 n. 28801; Cass. 1.9.2022 n. 25698; C.G.T. I Siena 11.4.2024 n. 68/1/24; C.G.T. I Milano 19.7.2024 n. 3184/13/24).

    Alla luce di questo orientamento, il consiglio è quello di presentare un’istanza di rimborso dell’imposta estera, come avvenuto nei casi oggetto di sentenza, in attesa di eventuali modifiche normative che possano chiarire ulteriormente la disciplina in materia.

    Questo principio può essere esteso anche ai rapporti disciplinati da trattati simili a quello tra Italia e Stati Uniti, come ad esempio quelli stipulati con Francia, Regno Unito e Germania.

    Per il credito relativo alle imposte estere detratte dall’imposta sostitutiva sui dividendi, si rimanda allo specifico articolo.

    Esempio di Tassazione

    Un esempio pratico aiuta a comprendere meglio la disparità tra i regimi di tassazione. Consideriamo un dividendo lordo di 1.000.000 con una ritenuta estera del 15% (150.000):

    • Percezione diretta: L’imposta sostitutiva del 26% si applica sull’importo lordo, pari a 260.000, portando l’onere fiscale totale a 410.000 e il dividendo netto a 590.000.
    • Percezione tramite intermediario: La ritenuta si applica sul “netto frontiera” di 850.000, risultando in un’imposta di 221.000. L’onere complessivo è di 371.000, con un dividendo netto di 629.000.

    Conclusioni e Implicazioni Fiscali

    La disparità nei regimi di tassazione può comportare oneri aggiuntivi per i contribuenti che percepiscono dividendi direttamente dall’estero. Inoltre, la possibilità di ottenere un rimborso per la differenza d’imposta rimane limitata, come evidenziato dalla giurisprudenza recente.

    In tale contesto, è essenziale valutare attentamente il regime fiscale applicabile e considerare l’assistenza di un consulente per ottimizzare la gestione delle imposte sui dividendi esteri.


  • Società di persone estere e benefici convenzionali

    Società di persone estere e benefici convenzionali

    Secondo quanto affermato nella risposta a interpello n. 17 del 12 gennaio 2022, i dividendi distribuiti da una società di capitali italiana a una società di persone estere (nello specifico una partnership trasparente costituita secondo il diritto inglese) non possono beneficiare direttamente delle agevolazioni previste dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito.

    Le motivazioni principali risiedono nella natura giuridica della società di persone estere:

    • La partnership, non essendo soggetto passivo d’imposta autonomo, non rientra tra le “persone residenti” definite dal trattato bilaterale.
    • Tuttavia, i singoli partner della partnership possono accedere ai benefici della Convenzione con riferimento alla loro quota di reddito, a condizione che siano soggetti a imposizione nel loro Stato di residenza (liable to tax) e siano i beneficiari effettivi dei dividendi.

    Lo stesso principio è stato ribadito in precedenti interpelli, come il n. 258 del 2021, dove si è chiarito che i dividendi di fonte italiana pagati a un fondo di investimento trasparente svizzero, partecipato da una fondazione svizzera esente da imposta, possono beneficiare delle riduzioni previste dall’art. 10 della Convenzione Italia-Svizzera.

    Riferimenti Normativi e Modello OCSE 2017

    Le regole relative alle partnership estere trovano una codifica specifica nell’art. 1, paragrafo 2, del modello OCSE 2017. Sebbene tale previsione non sia presente nelle Convenzioni firmate dall’Italia (fatti salvi alcuni casi particolari, come nel caso della Convenzione con gli Stati Uniti), essa si basa sui principi delineati nel Rapporto OCSE del 1999 intitolato The Application of the OECD Model Tax Convention to Partnerships. Questo rapporto è stato recepito nelle linee guida del Commentario all’art. 1 del modello OCSE, rendendolo applicabile anche ai rapporti con Stati con cui l’Italia ha stipulato una Convenzione fiscale.

    Principi Fondamentali del Modello OCSE

    • Le Convenzioni si applicano, secondo l’art. 1, paragrafo 1, del modello OCSE, alle “persone” che sono residenti di uno Stato contraente.
    • L’espressione “residente di uno Stato contraente” si riferisce, ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, del modello, alle persone soggette a imposizione nello Stato di residenza (liable to tax).

    Le società di persone e le partnership, pur essendo considerate “persone” secondo il Commentario all’art. 3 (§ 2), non sono considerate “residenti” ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, se sono entità trasparenti, ovvero non soggette a tassazione autonoma ma trasparenti rispetto ai partner.

    Trattamento Fiscale delle Partnership

    Il Commentario al modello OCSE stabilisce le seguenti regole:

    1. Partnership tassate come società di capitali: se la partnership è soggetta a tassazione autonoma, essa può essere considerata “residente di uno Stato contraente” ai fini dell’art. 4. In tal caso, la Convenzione tra lo Stato della fonte del reddito e lo Stato di residenza della partnership si applica direttamente alla partnership stessa.
    2. Partnership trattate come entità trasparenti: se la partnership è considerata trasparente ai fini fiscali, i benefici convenzionali spettano ai singoli partner. Questi ultimi, per usufruire delle agevolazioni, devono essere qualificati come “persone residenti di uno Stato contraente” ai sensi della Convenzione.

    Conclusioni

    La corretta applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni in presenza di partnership estere richiede un’analisi approfondita della natura giuridica e fiscale della stessa. Nel caso di entità trasparenti, l’attenzione si sposta sui partner, che devono soddisfare i requisiti di residenza fiscale e di effettiva imposizione per accedere ai benefici convenzionali per i quali si rimanda allo specifico articolo.

  • Dividendi di fonte italiana: applicazione ritenuta convenzionale

    Dividendi di fonte italiana: applicazione ritenuta convenzionale

    Regime Fiscale Ordinario: Applicazione della Ritenuta al 26%

    I dividendi distribuiti da società italiane a soggetti non residenti, inclusi coloro che risiedono in paesi a fiscalità privilegiata, sono assoggettati a una ritenuta fiscale del 26% sull’intero importo del dividendo, a condizione che la partecipazione non sia collegata a una stabile organizzazione situata in Italia.

    Rimborso Parziale della Ritenuta (11/26)

    L’articolo 27, comma 3, del DPR 600/73 prevede che i soggetti non residenti possano richiedere il rimborso di una parte della ritenuta applicata in Italia, fino a un massimo di 11/26. Per ottenere il rimborso, è necessario dimostrare, tramite una certificazione dell’ufficio fiscale estero competente, di aver pagato imposte definitive sugli stessi utili nel Paese di residenza.

    La richiesta di rimborso deve essere presentata al Centro Operativo di Pescara entro 48 mesi dall’applicazione della ritenuta.

    Come indicato nella Circolare Ministeriale 24 giugno 1998, n. 165/E, il contribuente non residente può scegliere il regime più vantaggioso tra il rimborso ordinario (11/26) e quello previsto da eventuali Convenzioni contro le doppie imposizioni.

    Le Convenzioni contro le doppie Imposizioni

    La normativa nazionale deve essere integrata con le regole previste dalle Convenzioni contro la doppia imposizione, basate sul modello OCSE.

    Queste Convenzioni, nella maggior parte dei casi, prevedono:

    • Il diritto dello Stato in cui ha sede la società che distribuisce i dividendi (Italia) di applicare una ritenuta fiscale, generalmente pari al 15%.
    • Un’aliquota ulteriormente ridotta (fino al 5%) per dividendi distribuiti tra società dello stesso gruppo.

    Nel caso di soci persone fisiche non residenti, la ritenuta applicata in uscita è generalmente pari al 15%.

    L’Agenzia delle Entrate, inoltre, nella risposta all’interpello n. 17 del 12 gennaio 2022, ha chiarito che una partnership estera (ad esempio britannica) non può beneficiare direttamente delle agevolazioni previste dalla Convenzione con l’Italia. Tuttavia, i partner della partnership possono accedere ai benefici convenzionali per la loro quota di reddito, a condizione che:

    • Siano soggetti a imposizione nel proprio Paese di residenza.
    • Siano i beneficiari effettivi dei dividendi.

    Come Richiedere l’Applicazione delle Convenzioni o il Rimborso

    Per beneficiare di un’aliquota ridotta prevista da una Convenzione contro la doppia imposizione, oppure per richiedere il rimborso delle ritenute eccedenti, il socio non residente deve agire preventivamente.

    La richiesta si effettua utilizzando il modello A (approvato con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 84404 del 10 luglio 2013), che deve includere:

    • L’attestazione di residenza fiscale rilasciata dall’autorità fiscale del Paese estero.
    • La certificazione dell’autorità fiscale estera relativa alla residenza del beneficiario.

    Il modello deve essere inviato:

    • Al sostituto d’imposta italiano, per ottenere l’applicazione diretta dell’aliquota ridotta.
    • Al Centro Operativo di Pescara, per il rimborso delle ritenute eccedenti già versate.

    Per i residenti in Italia, l’attestato di residenza fiscale italiana viene rilasciato dalla Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate utilizzando il modello approvato con lo stesso provvedimento.

    Conclusioni

    La tassazione dei dividendi distribuiti a soggetti non residenti richiede un’attenta gestione della normativa nazionale e delle disposizioni previste dalle Convenzioni internazionali. Presentare in modo tempestivo e completo la documentazione necessaria consente di beneficiare delle aliquote ridotte e di evitare la doppia imposizione sui redditi percepiti.

    Per i dividendi di fonte estera, si rimanda allo specifico articolo.

  • Criptovalute: territorialità, tassazione e monitoraggio fiscale

    Criptovalute: territorialità, tassazione e monitoraggio fiscale

    Il presente contributo fornisce un supporto per identificare la territorialità delle criptovalute ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi e del monitoraggio fiscale.

    Come si determina se una criptovaluta è detenuta in Italia o all’estero?

    A rispondere a questa domanda sono l’interpello n. 397/2022 e la circolare 30/2023, in base ai quali le criptovalute sono considerate:

    • Di fonte italiana:
      • Se detenute presso intermediari o prestatori di servizi residenti in Italia;
      • Se le schiavi di accesso sono gestite da intermediari o prestatori di servizi residenti in Italia;
      • se archiviate su supporti (es. USB) situati in Italia.
    • Di fonte estera:
      • Se detenute tramite intermediari esteri;
      • Se le chiavi sono archiviate su supporti fisici localizzati all’estero.

    In assenza di prova contraria, si presume che le cripto-attività siano localizzate in Italia se il contribuente è residente fiscalmente in Italia.

    Come vengono tassate le plusvalenze da criptovalute?

    Se detenute da soggetti fiscalmente residenti in Italia, in base all’art. 67, co. 1, lett. c-sexies) del TUIR, le plusvalenze derivanti dalla cessione di cripto-attività sono assoggettate a:

    • Imposta sostitutiva del 26% (art. 5, co. 2, DLgs. 461/1997)
    • A partire dal 2026, l’aliquota sarà elevata al 33%

    Il principio si applica a prescindere dalla fonte (italiana o estera), secondo il criterio della worldwide taxation per i soggetti residenti.

    Le cripto-attività devono essere indicate nel quadro RW?

    Sì. Dal 1° gennaio 2023, la Legge 197/2022 ha modificato l’art. 4 del DL 167/1990, prevedendo l’obbligo esplicito di indicazione nel quadro RW per:

    • Possessori diretti delle cripto-attività
    • Titolari effettivi, secondo le definizioni della normativa antiriciclaggio

    Quali regole si applicano per la compilazione del quadro RW?

    A partire dal 2023 le cripto-attività vanno indicate indipendentemente dalla modalità di custodia (wallet, exchange, chiavetta) o dalla localizzazione. Va compilato un rigo per ogni wallet o piattaforma.

     E’ possibile non indicare le cripto-attività:

    • smarrite o soggette a furto dimostrabile (attraverso denuncia all’autorità competente),
    • o token bloccati su piattaforme fallite (es. exchange non più accessibili).

    Quando si è esonerati dalla compilazione del quadro RW?

    Non è obbligatorio indicare le cripto-attività nel quadro RW se:

    • Sono affidate a intermediari italiani;
    • Sono oggetto di contratto di gestione o amministrazione con intermediari residenti;
    • I redditi sono già assoggettati a ritenuta o imposta sostitutiva da parte di questi soggetti.

    Eccezioni:

    • Le attività di staking accreditate da società italiane sono soggette a ritenuta del 26%
    • Se non tassate alla fonte, anche i wallet custodial devono essere indicati nel quadro RW

    Qual è il regime sanzionatorio per le omissioni RW?

    • Sanzione ordinaria: 3%–15% dell’importo non dichiarato
    • In caso di detenzione in paradisi fiscali: sanzione raddoppiata (6%–30%)
    • Se il quadro RW viene presentato entro 90 giorni dalla scadenza: sanzione fissa di 258 euro
    • Nessun raddoppio delle sanzoni se le attività estere non sono detenute in Paesi a regime fiscale privilegiato

    Cosa succede per i soggetti non residenti?

    Ai sensi della normativa domestica, le plusvalenze realizzate da non residenti sono tassabili in Italia se le cripto-attività sono considerate di fonte italiana (come da principi di territorialità espressi dall’interpello e dalla circolare citati).

    Tuttavia, questa disposizione va coordinata con le Convenzioni contro le doppie imposizioni.

    Pur se non espressamente specificato, si ritiene che le plusvalenze da cripto-attività rientrino tra i redditi disciplinati dall’art. 13 paragrafo 5 del modello OCSE, quindi tassate nel solo Stato di residenza del cedente; se così è, il non residente avrebbe titolo a non subire l’imposizione italiana, o a richiedere il rimborso, ove l’imposta sia stata prelevata.


  • La residenza fiscale del Trust

    La residenza fiscale del Trust

    In questo contributo si offre una panoramica circa la residenza fiscale del trust, i quali sono assimilati ai soggetti passivi IRES.

    In base a quanto disposto dall’art. 73 co. 3 – 5 del TUIR a seguito delle modifiche introdotte dal DLgs. 209/2023, un trust è considerato fiscalmente residente, qualora, per la maggior parte del periodo di imposta, che equivale a 183 o 184 giorni, abbia in Italia:

    • la sede legale,
    • la sede di direzione effettiva: ovvero il luogo in cui il trustee esercita abitualmente la sua attività strategica e adotta le decisioni di maggior rilievo relative al trust
    • la gestione ordinaria: da intendersi come “il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso” in via principale. 

    Oggetto principale ante modifiche DLgs. 209/2023

    Anteriormente alle modifiche introdotte dal DLgs. 209/2023, quindi fino al 31/12/2023, l’ultimo criterio di individuazione della residenza fiscale del trust era quello dell’oggetto principale, considerato dall’Agenzia delle Entrate come strettamente connesso alla tipologia di trust adottata.

    Quando, ad esempio, l’oggetto del trust era costituito da un patrimonio immobiliare interamente situato in Italia, il medesimo veniva considerato fiscalmente residente nel nostro paese in virtù dell’oggetto sociale. Nel caso in cui, invece, i beni fossero situati in più Paesi si era necessario ricorrere al criterio di prevalenza.

    Residenza fiscale post modiche DLgs. 209/2023

    Tale criterio, superato a partire dal 2024, è sempre valido in caso di accertamenti facenti riferimento alle annualità antecedenti la modifica legislativa.

    L’Art. 73 co. 3 del TUIR, ammessa la prova contraria, prevede poi due casi di attrazione in Italia della residenza fiscale del trust istituito in Stati o territori non appartenenti alla white list (diversi da quelli di cui al DM 4.9.96 e successive modificazioni emanato ai sensi dell’art. 11 co. 4 lett. c) del DLgs. 239/1996:

    • almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato;
    • successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, o vincoli di destinazione sugli stessi beni.

    Infine, come chiarito dalla circ. 48/E del 2007, le disposizioni in materia di esterovestizione delle società di cui all’art. 73 co. 5-bis e 5-ter del TUIR sono applicabili anche ai trust, nella misura in cui siano compatibili.

  • Residenza fiscale delle società ed Esterovestizione

    Residenza fiscale delle società ed Esterovestizione

    L’esterovestizione societaria è un fenomeno frequentemente sottovalutato dagli imprenditori, i quali spesso pensano di poter costituire società in giurisdizioni con una fiscalità più vantaggiosa rispetto a quella italiana e di continuare ad amministrarle dal nostro paese.

    Residenza fiscale delle società

    Ai sensi dell’art. 73 co. 3 del TUIR, come modificato a partire dal 2024, si considerano residenti in Italia le società, incluse quelle di persone, e gli enti, come i trust, che hanno nel territorio dello Stato, per la maggior parte del periodo d’imposta, ovvero per almeno 183 o 184 giorni, alternativamente:

    • la sede legale: si identifica con la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto;
    • la sede di direzione effettiva: per la quale si intende “la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso“, mentre “non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi“.
    • la gestione ordinaria in via principale: con cui si intende “il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso“. Sul punto, la circ. Agenzia delle Entrate 20/E del 2024 ha precisato che il criterio di collegamento è “associato al luogo in cui si esplicano il normale funzionamento della società e gli adempimenti che attengono all’ordinaria amministrazione della stessa“, che i fattori di determinazione della gestione ordinaria “variano a seconda della conformazione della struttura imprenditoriale, dell’attività caratteristica, nonché della organizzazione del complesso aziendale della società o dell’ente” e che la gestione “deve riguardare l’impresa nel suo complesso, con l’intento di distinguere lo Stato di residenza della persona giuridica dal luogo di collocamento della stabile organizzazione“.

    Convenzioni contro le doppie imposizioni e doppia residenza

    Nel caso in cui una società sia considerata fiscalmente residente da due diversi Paesi sulla base delle rispettive norme nazionali, si applica l’art. 4 par. 3 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni.

    Nel modello risultante a seguito dell’aggiornamento del 2017 viene rimessa la risoluzione dei casi di doppia residenza delle società al comune accordo delle competenti autorità degli Stati contraenti, tenendo conto della sua sede di direzione effettiva, del luogo in cui è costituita o altrimenti costituita e di qualsiasi altro fattore rilevante.

    Tuttavia, la maggior parte delle Convenzioni stipulate dall’Italia (facenti riferimento alla precedente versione del 2014) danno, invece, prevalenza al solo criterio della sede di direzione effettiva.

    Esterovestizione

    L’art. 73 co. 3, 5-bis e 5-ter del TUIR individua una presunzione legale relativa di residenza nel territorio dello Stato dei trust e delle società o enti esterovestiti.

    In particolare, il co. 5-bis dell’art. 73 del contiene la presunzione legale relativa di residenza in Italia delle società ed enti che detengono partecipazioni di controllo in società ed enti, se, in alternativa:

    • sono, a loro volta, controllati, ai sensi dell’art. 2359 del Codice Civile, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio italiano;
    • ovvero sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo di gestione, composto in prevalenza da soggetti residenti in Italia.

    Come indicato nella circ. Agenzia delle Entrate 28/E del 2006, la presunzione di esterovestizione e si applica anche nel caso in cui si interpongano nella catena di controllo più sub holding estere. In merito all’ipotesi legata alla residenza degli amministratori, invece, la circ. Agenzia delle Entrate 11/E del 2007 prevede che:

    • la società sarà considerata fiscalmente residente qualora, per la maggior parte del periodo d’imposta, risulti amministrata da consiglieri residenti in Italia;
    • la residenza degli amministratori della società deve essere stabilita sulla base dei criteri previsti dall’art. 2 del TUIR.

    Il co. 5-bis dell’art. 73 del TUIR, in caso di esterovestizione, prevede l’inversione a carico del contribuente dell’onere della prova.
    Per superare tale presunzione, la società dovrà, pertanto, dimostrare “con argomenti adeguati e convincenti” che “esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero

    Giurisprudenza di merito

    Esempio di giurisprudenza di merito è la Cass. n. 43809 del 2015, in base alla quale non si può considerare esterovestita la controllata estera dotata di una propria struttura, anche se minima, che le consente di svolgere l’attività prevista dallo Statuto sociale. L’accertamento dell’esterovestizione riguarda, infatti, le sole società “schermo” (o “caselle postali”) che si caratterizzano quali costruzioni di puro artificio, costituite nello Stato estero al solo fine di beneficiare di regimi fiscali più favorevoli.
    La C.T. Prov. Como n. 91/1/13 ha stabilito che non sussiste ila fattispecie di esterovestizione ove la società presenti all’estero stabilimenti, uffici, personale dipendente, organismi direttivi, sedi di decisioni strategiche, autonomie operative, profitti, interessi ed attività sovranazionali. La residenza fiscale in Italia di un soggetto estero deve, infatti, basarsi su un’analisi complessiva della situazione di fatto e non deve essere limitata ad una valutazione acritica fondata sulle presunzioni normative.

    Effetti

    Qualora il contribuente non riuscisse a dimostrare che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, i redditi conseguiti dal soggetto “esterovestito” saranno, pertanto, assoggettati a tassazione in Italia.

    Si può portare ad esempio, il caso di molti imprenditori digitali che operano dall’Italia attraverso società costituite off-shore, come le LLC statunitensi, ma la cui gestione ed amministrazione avviene in Italia. In questi casi, qualora oggetto di accertamento, tali società verrebbero considerate fiscalmente residenti nel nostro paese ed ivi assoggettate a tassazione.

  • Trasferimento della residenza fiscale all’estero e controlli dell’Agenzia delle Entrate

    Trasferimento della residenza fiscale all’estero e controlli dell’Agenzia delle Entrate

    Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha intensificato le verifiche sui cittadini italiani che hanno trasferito la propria residenza fiscale all’estero. Lobiettivo è contrastare il fenomeno dellesterovestizione personale, ovvero trasferimenti solo formali, volti a evitare la tassazione in Italia (per la quale si rimanda allo specifico articolo).

    Quali rischi corre chi si trasferisce senza conoscere la normativa?

    Anche un trasferimento all’estero genuino può comportare gravi conseguenze fiscali se non si valutano le implicazioni fiscali e i poteri di controllo dell’Agenzia delle Entrate.

    Come funziona il sistema delle liste selettive”?

    Gli accertamenti fiscali sugli espatriati si basano su liste selettive”, elenchi di soggetti italiani che potrebbero aver simulato il trasferimento di residenza. Questo sistema è previsto dal Provvedimento n. 43999  del 3 marzo 2017.

    Qual è lo scopo delle liste selettive?

    Le liste servono a identificare i cosiddetti falsi residenti allestero”, valutando tre criteri principali:

    • Residenza: luogo della dimora abituale.
    • Domicilio: luogo dove si sviluppano relazioni personali e familiari.
    • Presenza fisica: permanenza effettiva in Italia.

    Che ruolo hanno i Comuni e liscrizione allAIRE?

    Ai sensi dell’art. 83 del D.L. 112/2008, i Comuni sono tenuti ad inviare all’Agenzia delle Entrate i dati di chi si iscrive all’AIRE. Questo adempimento è obbligatorio per chi si trasferisce, ma può comportare controlli sulla veridicità del trasferimento.

    Chi viene controllato?

    Gli accertamenti si concentrano sui trasferimenti non genuini, creati con lo scopo di eludere la tassazione in Italia. Tuttavia, anche chi ha realmente lasciato il Paese può risultare nella lista, se emergono indici di collegamento con l’Italia.

    Quali sono gli elementi che possono far scattare un controllo?

    L’Agenzia delle Entrate monitora diversi indicatori, tra cui:

    • Residenza dichiarata in uno degli Stati e territori a fiscalità privilegiata, individuati dal Decreto del Ministero delle Finanze 4 maggio 1999; (rilevante ai fini dell’articolo 2, comma 2-bis DPR n. 917/86).
    • Movimenti di capitale da e verso lestero, trasmessi dagli operatori finanziari nell’ambito del monitoraggio fiscale di cui al D.L. n. 167/1990. In relazione a questo adempimento assumono rilevanza anche gli obblighi di segnalazione delle operazioni transfrontaliere da parte degli istituti bancari;
    • Informazioni relative a patrimoni immobiliari e finanziari detenuti allestero, trasmesse dalle Amministrazioni fiscali estere nell’ambito di Direttive europee e di accordi di scambio automatico di informazioni;
    • Residenza in Italia del nucleo familiare del contribuente;
    • Atti del registro segnaletici dell’effettiva presenza in Italia del contribuente;
    • Utenze elettriche, idriche, del gas e telefoniche attive;
    • Disponibilità di autoveicoli, motoveicoli e unità da diporto;
    • Titolarità di partita IVA attiva;
    • Rilevanti partecipazioni in società residenti di persone o a ristretta base azionaria;
    • Titolarità di cariche sociali;
    • Versamento di contributi per collaboratori domestici;
    • Informazioni trasmesse dai sostituti d’imposta con la Certificazione unica e con il modello dichiarativo 770;
    • Informazioni relative a operazioni rilevanti ai fini IVA, comunicate ai sensi dell’art. 21, D.L. n. 78/2010 nonché ai sensi del D.Lgs. n. 127/2015.

    È rilevante il possesso di un immobile in Italia?

    Sì, la disponibilità di unabitazione in Italia per più di 90 giorni lanno è considerata un elemento significativo ai fini fiscali.

    La check list connessa all’applicazione del regime fiscale dei c.d. “neo-residenti” in Italia include questa informazione tra quelle utili per verificare gli anni di residenza fiscale estera pregressa.

    I dati AIRE come vengono trasmessi?

    Il Ministero dell’Interno comunica periodicamente (almeno ogni sei mesi) all’Agenzia delle Entrate le liste dei cittadini iscritti all’AIRE o che hanno fatto richiesta.

    Che ruolo hanno gli accordi internazionali sullo scambio di informazioni?

    Il bacino di informazioni a disposizione dell’Agenzia delle Entrate è ulteriormente incrementato da quelle che possono provenire da accordi internazionali di scambio automatico (es. DAC1, DAC2, DAC5, DAC7, DAC8, FATCA, CRS), che rafforzano la capacità dell’Agenzia di incrociare i dati a livello globale e di intercettare eventuali incongruenze o irregolarità.

    Linserimento in lista porta automaticamente a un accertamento?

    No. Linserimento in una lista selettiva non equivale a una notifica automatica di accertamento fiscale. Serve solo a guidare l’Agenzia nell’eventuale invio di inviti e questionari, primo passo di una verifica.

  • Residenza fiscale delle persone fisiche ed Esterovestizione

    Residenza fiscale delle persone fisiche ed Esterovestizione

    Il presente contributo tratta della residenza fiscale delle persone fisiche. Ai sensi dell’art. 3 del TUIR, le persone fisiche residenti in Italia sono assoggettate a tassazione per i redditi ovunque prodotti, in Italia e all’estero.

    Al contrario, i soggetti non residenti sono tassati in Italia solo sui  ai redditi prodotti nel territorio dello Stato.

    Ai fini IRPEF, a partire dal 2024, sono considerate residenti in Italia le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta, ovvero 183 o 184 giorni negli anni bisestili, considerando anche la frazioni di giorno, alternativamente:

    • hanno la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 43 co. 2 c.c. (“la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”);
    • hanno il domicilio nel territorio dello Stato (per domicilio, a tal fine si intende per espressa previsione dell’art. 2 co. 2 del TUIR, “il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona”);
    • sono presenti nel territorio dello Stato;
    • salvo prova contraria, risultano iscritte nelle anagrafi della popolazione residente.

    Ad esempio, la persona trasferitasi all’estero, senza aver effettuato l’iscrizione all’AIRE, a partire dal 2024 non potrà più essere considerata fiscalmente residente in Italia se prova di non aver avuto in Italia la residenza civilistica, il domicilio o di non essere stato presente sul territorio nazionale per la maggior parte del periodo di imposta.

    La Circolare 20/E del 2024, fornisce alcuni esempi relativi alla determinazione del domicilio relativo alla residenza fiscale delle persone fisiche:

    • il caso di una persona, iscritta all’AIRE, che lavora all’estero ma mantiene a propria disposizione, a qualunque titolo, una casa in Italia, lasciandovi attive le relative utenze, nella quale continua a rientrare nei fine settimana e dove trascorre alcuni periodi di astensione dal lavoro;
    • il caso di Tizio, avente un’abitazione di proprietà sia in Italia, sia nello Stato estero Beta: nell’abitazione italiana sono presenti i figli, nati da un primo matrimonio, mentre nella casa situata all’estero vive l’attuale coniuge; la persona lavora ordinariamente in Italia, si reca frequentemente in vari Paesi per viaggi professionali nonché nello Stato Beta durante i fine settimana e i periodi di astensione dal lavoro; il periodo di permanenza in Italia è quello più lungo rispetto agli altri Stati, circostanza che induce l’Agenzia a considerare la persona residente in Italia.

    Trasferimento della residenza fiscale delle persone fisiche in paradisi fiscali

    Il DM 4.5.99 indica la lista degli Stati o territori per i quali opera la presunzione relativa di residenza delle persone fisiche, prevista dall’art. 2 co. 2-bis del TUIR. In base a tale norma, infatti, si continuano a considerare fiscalmente residenti in Italia, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati di cui al decreto menzionato.

    Esempi di paradisi fiscali sono gli Emirati Arabi, Panama, Hong Kong e Singapore. A partire dal 2024 è stata eliminata dalla lista, invece, la Svizzera.


    La presunzione si applica anche al caso del cittadino italiano che essendo stato a suo tempo iscritto nell’Anagrafe della popolazione residente si trasferisca in un paese a fiscalità privilegiata da un altro paese estero che non è incluso nella lista.

    La norma pone a carico del soggetto che si è trasferito all’estero l’onere di dimostrare la propria residenza estera, onere della prova che, invece, in caso di trasferimento in altre giurisdizioni, sarebbe a carico dell’Agenzia delle Entrate.

    Per dimostrare la genuinità del trasferimento della residenza fiscale all’estero, il contribuente potrebbe utilizzare gli elementi di prova individuati nella C.M. 2.12.97 n. 304/E, ossia:

    • disponibilità di un’abitazione permanente nel Paese estero adeguata ai bisogni abitativi personali e familiari;
    • stipula di contratti di locazione o acquisto di immobili residenziali adeguati ai bisogni abitativi personali e familiari;
    • pagamento di canoni per la fornitura di servizi (acqua, luce, gas, telefono, ecc.) nel Paese estero;
    • assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia;
    • svolgimento di un rapporto di lavoro a carattere continuativo o di attività economica nel Paese estero;
    • mantenimento della famiglia all’estero, con iscrizione ed effettiva frequenza dei figli in istituti scolastici o di formazione del Paese estero;
    • accreditamento nel Paese estero di proventi ovunque conseguiti e movimentazione di somme di denaro o altre attività finanziarie;
    • possesso all’estero di beni anche mobiliari;
    • eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese estero.

    Al contrario, tra gli indici più significativi di residenza fiscale delle persone fisiche individuati dall’Agenzia delle Entrate e ricavabili anche dalla domanda di applicazione dell’agevolazione di cui all’art. 24-bis del TUIR (c.d. agevolazione per i “neo residenti”), ci sono i seguenti:

    • La disponibilità, diretta o per interposta persona di una abitazione in Italia;
    • La presenza della famiglia (marito/moglie e/o figli, ma anche situazioni di convivenza) in Italia;
    • L’accreditamento di propri proventi nel Paese, ovunque conseguiti;
    • Il possesso diretto, o per interposta persona, di beni immobili lasciati a disposizione per oltre 90 giorni. Allo stesso modo è rilevante anche l’acquisto di beni immobili;
    • La presenza di cariche societarie in società residenti in Italia o, comunque, la partecipazione a riunioni d’affari;
    • Il mantenimento di relazioni sociali, l’iscrizione a circoli, club o associazioni di qualsiasi tipo;
    • Il trasferimento di denaro estero su Italia, tale da far presumere uno spostamento di interessi finanziari;
    • L’organizzazione della propria attività e dei propri impegni, anche internazionali, direttamente o attraverso soggetti operanti nel territorio italiano.

    Oltre a questi elementi a catturare l’attenzione dell’Amministrazione finanziaria sono anche i pagamenti effettuati in Italia da parte del soggetto.

    Convenzioni contro le doppie imposizioni

    Qualora un soggetto venga considerato fiscalmente residente in due diverse giurisdizioni ai sensi delle rispettive norme nazionali, si applicano le convenzioni contro le doppie imposizioni.

    L’art. 4 del modello OCSE precisa che il termine “residente di uno Stato contraente” designa “ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è ivi assoggettata ad imposta, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione, o di ogni altro criterio di natura analoga”.

    Per le persone fisiche, il modello di OCSE individua alcune regole (le coiddette “tie-breaker rules”) che servono per dirimere il conflitto di residenza che sorge ove un soggetto, in applicazione delle leggi nazionali, risulti residente in entrambi gli Stati contraenti.

    L’applicazione delle “tie-breaker rules” devono essere applicate nel seguente ordine gerarchico:

    • abitazione permanente (1° rule);
    • centro degli interessi vitali (2° rule);
    • luogo di soggiorno abituale (3° rule);
    • nazionalità (4° rule);
    • accordo fra gli Stati (criterio residuale).

    Le Convenzioni contro le doppie imposizioni costituiscono fonti vincolanti per gli Stati contraenti ed hanno efficacia di legge primaria prevalendo sulle norme interne (art. 75 del TUIR e art. 117 Cost.) in quanto norme speciali (Cass. 14240/2021; Cass. n. 1138/2009)

    Esterovestizione personale

    Nel caso in cui venisse constatato il fenomeno dell’esterovestizione personale, i redditi conseguiti all’estero sarebbero considerati imponibili in Italia e, dal 2024, assoggettati all’applicazione di una sanzione del 120% (in caso di omessa dichiarazione dei redditi.

    Verrebbe inoltre applicata una sanzione dal 3% al 15% del valore delle attività patrimoniali e finanziarie di fonte estera non dichiarate nel quadro RW ai fini del monitoraggio fiscale. Le sanzioni sono raddoppiate nel caso in cui le attività siano detenute nei paradisi fiscali menzionati anteriormente.